L’autrice propone un’ampia e approfondita riflessione su alcuni snodi fondamentali dell’insegnamento dell’aritmetica alla scuola primaria. Partendo dall’osservazione ripetuta del presentarsi di alcuni errori caratteristici, ricerca elementi utili per potenziare l’apprendimento della scrittura decimale posizionale dei numeri. Propone un’esperienza che, favorendo il passaggio dal concreto al pensiero astratto, suggerisce per analogia la struttura astratta che il bambino deve apprendere. Particolare attenzione è posta alla produzione di immagini, al linguaggio, all’errore e alla valutazione formativa.



 

Alcuni errori sui numeri e sulle operazioni, tipici delle prime classi della scuola primaria, possono permanere per molti anni ed influire gravemente sugli apprendimenti successivi. Consultando un’opera classica sulla discalculia possiamo per esempio segnalare l’incapacità del calcolo mentale; l’incapacità di transcodifica, cioè l’incapacità di passare da un codice a un altro nella lettura e scrittura dei numeri; la mancanza di automazione nei calcoli, collegata all’insicurezza nell’uso corretto degli algoritmi delle operazioni in colonna; l’incapacità di usare la retta dei numeri per visualizzare i procedimenti numerici; gli errori nella selezione dell’algoritmo per la risoluzione di problemi, che segue dalla mancanza di conoscenza dei significati delle operazioni; gli errori di ogni tipo nella conoscenza delle procedure di calcolo; la mancanza della memorizzazione delle tabelline.



Penso che ogni insegnante di matematica si chieda come facilitare l’apprendimento di questi temi, classici nelle ricerche sulla discalculia, ma molto frequenti all’inizio della scuola primaria. Per procedere su questa strada, è necessario partire da alcune premesse generali:

Cosa è la matematica? per quale scopo è insegnata? Quanta parte ha, fin dall’inizio, il pensiero e quanta il calcolo? Quanto aiuta la memoria, il comprendere e quanto l’allenamento? Quanto incide sull’allievo la sensazione di non imparare o di non poter imparare e come questa è legata alla valutazione? Le risposte a queste domande nasceranno nel corso dell’articolo.
Mi spaventa che si diffonda nella scuola la ricerca di risultati formali (cioè saper fare senza comprendere i motivi) e che si affermi un’idea di facilitazione fondata sull’allenamento meccanico deprimendo il pensiero, come mi preoccupa la diffusa riduzione della matematica al calcolo.



Mi appare negativa l’enfatizzazione, per tutti, della velocità nelle prestazioni, che può invece dare segnali utili nel documentare difficoltà particolari, ma che non dovrebbe essere considerata significativa in generale, non essendo di per sé un valore per una buona matematica. Significativo il giudizio di Rosetta Zan: «Il disagio identificato con errori e lentezza non è colpa della matematica, ma di un modo estremamente riduttivo e distorto di vedere la matematica, frustrante sia per l’allievo che per il docente. E di un modo altrettanto riduttivo di concepire la valutazione. È questa visione della matematica (e anche della valutazione) che dobbiamo mettere in discussione se vogliamo affrontare il problema del disagio associato alla matematica in modo costruttivo e non superficiale.

Altrimenti c’è il rischio che invece di accettare errore e lentezza come elementi necessari del processo d’apprendimento, facciamo anche noi docenti scelte di evitamento: evitando occasioni d’errore, evitando processi che richiedono tempo, addirittura insegnando scorciatoie cognitive […] Un insegnamento centrato sui processi invece che sui prodotti, che valorizza il ruolo dell’errore e del tempo e restituisce ai problemi il loro ruolo cruciale, che supera una concezione riduttiva e sterile di valutazione, […] rende l’attività con la matematica una palestra incredibile anche per imparare a gestire le proprie emozioni, a riflettere prima di agire, ad argomentare le proprie posizioni, a rispettare le opinioni dell’altro, ad affrontare situazioni nuove con fiducia, a interpretare e superare eventuali fallimenti, ad assumersi responsabilità, a conquistare autonomia, tutto in un contesto protetto com’è quello della classe, o della scuola».

Personalmente, propendo a pensare che per poter riconoscere con credibilità la discalculia, occorre che la didattica ordinaria abbia messo in atto tutte le sue possibilità per far superare a ciascuno gli errori che riguardano i numeri e il calcolo. Provo a ragionare su questo, facendo una sintesi di elementi utili, soprattutto metodologici.

 

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Anna Paola Longo

(membro della Associazione GRIMeD -Gruppo di Ricerca Matematica e Difficoltà- e dell’Associazione MA.P.ES. –Matematica, Pensiero, Esperienza-.

 

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