Questo contributo è tratto dall’intervento dell’autore al Convegno Ma.P.Es. 2018, una prima parte del quale é stata pubblicata sul n° 71- dicembre 2018.In questa seconda parte l’autore tratta le problematiche e gli stimoli a proposito dell’intreccio della lingua con la matematica nella risoluzione di problemi, relazione che può rivelarsi positiva o disturbante.Una occasione di approfondimento del significato e del valore di proporre la risoluzione di problemi nella didattica della matematica.



Attraversiamo per cenni alcuni temi che riteniamo importanti quando si affronta la questione del problema a scuola. Riprendiamo la descrizione di Stella Baruk [1] di che cosa sia un problema, per evidenziare il ruolo che in esso ha l’enunciato, ovvero l’insieme dei dati.

I problemi e i testi dei problemi

Il sostantivo «dato» non può non evocare che l’informazione assegnata, ovvero ciò che intendiamo come «dato di un problema», è, appunto, data, è un elemento della realtà che emerge, si sottrae all’indifferenziato, lascia l’ambito del non noto per diventare presente alla mente e pertanto interessante. «Dato», infatti, evoca implicitamente anche un soggetto a cui l’informazione viene trasferita, è qualcosa dato a te, è per te.



Se il dato è colto nel suo essere «per te», non ci si deve aspettare nel bambino mancanza di motivazione verso un problema. Piuttosto, diventa centrale scegliere efficacemente quale questione sottoporre all’attenzione dei bambini: se un problema o un’attività non risulta essere interessante, forse occorre chiedersi se è pertinente al percorso affettivo, di crescita e cognitivo che i bambini stanno facendo. In ogni situazione si possono scorgere elementi che possono divenire «dato» per costituire l’enunciato di un problema. Il numero dei bambini assenti, o dei quaderni sulla cattedra, piuttosto che delle fotocopie da distribuire, o delle piastrelle del corridoio, o dei buoni della raccolta punti del supermercato sono solo alcuni esempi di situazioni che possono dare spunto a un problema, semplicemente attraverso il prendere atto dei dati.



Comprendere il testo

Le «cose» e la scuola
Un problema può nascere, come abbiamo visto, da varie situazioni, ma non deve per forza essere espresso da un testo verbale: può essere comunicato attraverso immagini, come nell’esempio che segue.

Che l’enunciato sia formulato a parole o proposto con immagini, l’informazione assegnata, il dato, a differenza della situazione reale, risulta essere mediato, e può pertanto presentare difficoltà di interpretazione dovute alla mediazione. È noto infatti che una delle principali difficoltà dei bambini nella soluzione dei problemi è la comprensione del testo.

Rosetta Zan ha di recente pubblicato un interessante libro [2] dedicato proprio al tema della comprensione dei problemi di matematica, in cui mette in luce possibili origini di alcune diffuse incomprensioni relative ai testi dei problemi. Uno degli esempi citati è una riformulazione del famoso problema dell’età del capitano, che l’autrice ha usato in una sperimentazione.

Problema
In un prato ci sono 20 pecore, 7 capre, e 2 cani.
Quanti anni ha il pastore?

Testi come questo fanno sorridere il lettore adulto, fuori dall’ambito scolastico, per l’evidente assurdità della richiesta: non ci sono dati a disposizione per formulare una risposta sensata. Invece per chi vive nella scuola non risulta affatto sorprendente che la maggior parte dei bambini trovi una risposta, semplicemente perché: «nel testo ci sono dei numeri, con i numeri si fanno le operazioni, per risolvere un problema bisogna fare delle operazioni, quindi si può trovare un risultato».

I bambini che fanno questo «ragionamento» muovono su un piano di significato diverso da quello atteso. Per essi il significato della richiesta è assolvere il compito scolastico di dare una risposta a una domanda, perché – immagino – nella loro esperienza scolastica è sempre successo che: «se in matematica la maestra mi fa una domanda, si aspetta una risposta da trovare con un’operazione», perdendo di vista in questo modo il significato mediato dal testo. Non è indifferente sottolineare che la risposta assurda che può essere data presuppone comunque la ricerca di un senso, che riguarda però il contesto scolastico e non il compito assegnato, in accordo con l’idea di Guy Brousseau di «contratto didattico». Credo non sia esagerato affermare che emerge un vero e proprio tradimento dello scopo della scuola, che non rappresenta più un ambito di incontro con la realtà, ma un «gioco» autoreferenziale, in cui le energie dei bambini sono rivolte non a conoscere le «cose», ma ad adattare il comportamento a un contesto sociale non significativo.

Sempre alla ricerca di un senso

I bambini si muovono sempre attribuendo un senso alle loro esperienze, senso che va ricercato e fatto emergere, e che, in casi come quello precedente, può essere di natura diversa da quello atteso da chi ha proposto la domanda. Ci sono altre risposte al problema citato che presuppongono un pensiero, evidentemente non accettabili per la matematica, divergenti rispetto a quello di chi ha formulato la domanda, come la seguente citata dalla Zan:

«Ho fatto un ragionamento particolare: il pastore, se ha due cani per così poche bestie, uno dei due cani forse gli serve perché è non vedente. Quindi deduco che abbia sui 70-76 anni».

Quanta «vita» ha messo il bimbo che ha formulato questa argomentazione! Non può non sorprendere quanto il bambino si sia calato nel compito e immedesimato nella situazione, mobilitando una serie di conoscenze. Occorre tener conto che il vissuto dei bambini può condizionare la comprensione, sia per quanto riguarda la comprensione generale del testo – aspetto ancora più importante se la dimensione narrativa del testo è considerevole – sia per quanto riguarda la comprensione puntuale. È molto rilevante l’ampiezza del dizionario posseduto dai bambini: talvolta l’incomprensione del testo è dovuta a una errata attribuzione di significato a un solo termine, oppure alla sua mancata conoscenza, ma può esserci anche un’inadeguata competenza linguistica, specie nel caso in cui il testo sia ricco di riferimenti impliciti o indicati da deittici.

Un secondo esempio è tratto dalle prove Invalsi di alcuni anni fa per la seconda primaria, in merito a cui vi sono da fare alcune osservazioni interessanti.

Notiamo anzitutto che il 43% dei bambini ha scelto la prima opzione, rispondendo «19»: si può immaginare che sia stata la scelta di chi ha fatto una lettura selettiva del testo alla ricerca solo dei numeri e delle «parole chiave», 9 maschi, 10 femmine, quanti in tutto.

Questo approccio è suggerito ai bambini per risolvere i problemi da più insegnanti: anche in questo caso va rimarcato che questo atteggiamento denuncia una sostanziale rinuncia alla razionalità e un’idea distorta di insegnamento, di chi si accontenta di avere statisticamente un buon numero di risposte esatte a scapito della reale comprensione, tradendo la dinamica originaria del conoscere nei bambini.

Che il numero di risposte esatte non sia un segno affidabile della reale comprensione del problema è emerso in una ricerca curata da Pietro Di Martino dell’Università di Pisa, in cui questo e altri quesiti sono stati proposti a un campione di bambini con la richiesta aggiuntiva di spiegare come era stata scelta la risposta. Si è così rilevato, per esempio, che un certo numero di risposte B. non erano frutto di errori di calcolo, ma scelte con oculatezza, come ad esempio nel caso in figura.

Testi artificiosi e testi significativi

Una delle antinomie che segnano l’azione didattica nella scuola primaria è la coppia concreto/ astratto su cui non mi soffermo qui; voglio invece ragionare su un’altra: artificioso/significativo.

Consideriamo questo esempio, tratto da un testo di Pietro Di Martino e Rosetta Zan [4]:

Automobiline (1ª secondaria di I grado)
Giulio e Andrea per giocare mettono insieme le loro automobiline.
Quando smettono di giocare, ciascun bambino vuole riprendersi lo stesso numero di automobiline che aveva all’inizio del gioco.
Tutte le automobiline sono 48, ma come dividerle?
Andrea ricorda che ne aveva il triplo di Giulio.
Vuoi aiutarli a dividere le macchinine nel modo giusto?

Il testo sembra concreto, perché tratta di un’esperienza di gioco che dovrebbe essere familiare: a ben guardare, invece, è piuttosto artificioso se teniamo conto che alla fine di un gioco ogni bambino vuole riprendersi le sue macchinine e non lo stesso numero, se non cerca di prendersi anche quella che gli piace e che non è sua; inoltre, un bambino ricorda certamente quante macchinine aveva, ma non che ne aveva il triplo dell’amico.

Pur essendo evidentemente più astratto, risulta più significativo il seguente testo – equivalente al precedente dal punto di vista matematico-, perché la domanda è coerente con il contesto, l’insieme dei numeri naturali:

La somma di due numeri è 48, uno è il triplo dell’altro. Quali sono i due numeri?

Anche quest’altro esempio, simile a molti che si possono rintracciare sui sussidiari o negli eserciziari, sembra riferirsi a un contesto concreto:

Rita compra un quaderno e due penne, il quaderno costa 3 €, paga con una banconota da 10 € e ha avuto 2 € di resto. Quanto costa una penna?

Qui è la domanda a essere poco significativa: è già successo tutto, sapere il costo di una penna, che non si sa neanche come sia, è effettivamente senza interesse: dal momento che il costo non è incongruo, personalmente mi sembrerebbe più pertinente chiedersi se la penna funziona! Oltretutto nel testo non viene detto se le penne siano uguali o abbiano lo stesso costo…

Proviamo a riscriverlo in una forma diversa:

Rita: Ti ho preso la penna che mi hai chiesto.
Federica: Quanto ti devo?
Rita: Niente dai, te la regalo.
Federica: Ma scusa, già che mi hai fatto il favore di prenderla!
Rita: In realtà è che non mi ricordo quanto costa…
Federica: Non hai preso anche un quaderno?
Rita: Si, e una penna uguale per me. Il quaderno costa 3 €, ho pagato con una banconota da 10 € e… aspetta, ecco questo è il resto, una moneta da 2 €.

Così la domanda non risulterebbe giustapposta alla situazione, ma ne è parte e, a differenza del solito, non chiude l’enunciato, ma lo apre. Sono convinto che al termine della lettura o del racconto i bambini più svegli hanno già trovato la risposta, nel caso si può chiedere loro di spiegare come è stata trovata la risposta…

Problemi aritmetici e geometrici

Spendiamo due parole relative al fatto che non esistono solo problemi aritmetici: spesso in ambito scolastico l’aritmetica viene identificata con l’intera matematica, quasi che la geometria sia un’altra disciplina. Ci sembra opportuno in questa sede sottolineare che i problemi relativi alla determinazione di aree e perimetri di figure, in cui si richiede solo di applicare una formula, sono esercizi aritmetici in contesto geometrico. È un problema geometrico invece costruire una figura geometrica a partire da una figura incompleta, disegnare un angolo retto con il vertice o un lato assegnato, costruire una figura equivalente a una figura assegnata, realizzare una figura a partire dalla sequenza di istruzioni verbali.

Risolvere un problema

La soluzione di un problema, come viene richiesta a scuola, è una vera e propria impresa che racchiude diversi aspetti, uno dei quali è la comprensione del testo.

Indichiamo, senza pretesa di esaustività, quelle che a nostro avviso si possono riconoscere come le fasi della soluzione di un problema scolastico. Proprio perché la soluzione di un problema è una richiesta articolata e complessa, si possono anche proporre attività relative solo ad alcuni dei punti che citeremo, e non richiedano di lavorare su tutti gli aspetti che compongono un compito così complesso.

1. La comprensione del testo, di cui abbiamo già dato alcuni cenni, si può declinare in diversi processi: la comprensione globale della prima lettura o del primo ascolto, il riconoscimento delle informazioni esplicite e delle informazioni implicite.

2. La soluzione vera e propria inizia con la rappresentazione, che può essere materiale o semiotica, con segni grafici o simbolici. In questa fase, si prende consapevolezza dei dati e se ne manifesta la comprensione, nonché talvolta anche i nessi, attraverso una loro trasposizione in una nuova forma, che utilizza linguaggi e descrizioni diverse da quelle del testo. Spesso conviene che la forma della rappresentazione sia adottata spontaneamente, perché permetta di riconoscere i processi di pensiero messi in atto dai bambini, e solo successivamente si propongano modalità condivise più convenzionali. Rimando su questo tema agli esaustivi articoli d Anna Paola Longo su questa stessa rivista. [5]

3. La ricerca di una strategia risolutiva è la fase che più facilmente si identifica con la soluzione del problema, in cui creativamente si cerca la strada per trovare l’elemento che non è immediatamente disponibile. Un buon problema deve sollecitare l’esplorazione, la progettazione e la realizzazione di una sequenza di passi che conducano alla determinazione della soluzione o delle soluzioni o dell’impossibilità di trovarne, attraverso la formulazione e la verifica di affermazioni e congetture e lo svolgimento degli eventuali calcoli. Ed è bene che consenta anche diverse modalità di soluzione.

4. La verifica della plausibilità della soluzione. Non è infrequente trovare risposte del tutto irrealistiche, come auto che viaggiano costantemente per ore oltre i 100 km/h e percorrono strade di pochi millimetri, tempi di cottura di torte secolari, quaderni e biro che costano migliaia di euro… Evidentemente si tratta di errori, che possono anche essere solo errori di calcolo, ma queste risposte sono il segno che non si è mantenuto il controllo nel processo risolutivo e non ci si è mantenuti aderenti alla realtà della situazione proposta.

5. La redazione di un testo che raccolga e comunichi il percorso di pensiero che ha condotto alla soluzione, spunto a cui dedichiamo la chiusura dell’intervento. Una osservazione importante: lavorare per problemi richiede tempo. Alla scuola primaria il tempo c’è! È importante sottolineare che, se il lavoro proposto è ricco e significativo, pensato, condotto, ben orientato, il tempo dedicato, che spesso ci sembra tempo perso rispetto ad altro che ci preme, è invece un investimento, che produce un apprendimento più riflesso, consapevole e stabile, anche degli algoritmi e delle procedure da assimilare.

Scriveva Pavel Florenskij in Lezione e Lectio: «La lezione non è un tragitto sul tram che ti trascina avanti inesorabilmente su binari fissi e ti porta alla meta per la via più breve, ma è una passeggiata a piedi, una gita, sia pure con un punto finale ben preciso, o meglio, su un cammino che ha una direzione generale ben precisa, senza avere l’unica esigenza dichiarata di arrivare fin lì, e di farlo per una strada precisa. Per chi passeggia è importante camminare e non solo arrivare, chi passeggia procede tranquillo senza affrettare il passo. […] l’essenza della lezione è la vita scientifica in senso proprio, è riflettere insieme agli uditori sugli oggetti della scienza, e non consiste nel tirar fuori dai depositi di un’erudizione astratta delle conclusioni già pronte, in formule stereotipate».[6]

Scrivere la soluzione di un problema

Dedico le ultime osservazioni alla stesura della soluzione del problema, che reputo un aspetto di importanza nodale. Personalmente, ritengo che la stesura della soluzione di un problema rappresenti una richiesta di produrre un testo, richiesta analoga a quella che viene formulata in Italiano, con la specificità di avere a disposizione linguaggi che non sono solo il linguaggio verbale. Pertanto ritengo si debba chiedere, come per gli altri testi, che quanto prodotto sia chiaro, coerente, completo, che non richieda interpretazioni o ricostruzioni da parte del lettore.

Per esperienza personale, di fronte a certi compiti che capita di correggere posso ribadire, come ho già detto in altra occasione, che i ragazzi «non capiscono quel che leggono e non sanno quel che scrivono: da una parte il testo – ma anche la formula, la procedura, il calcolo – è muto, motivo per cui il procedere è casuale, dall’altra i testi prodotti sono costituiti da frasi – in senso lato possiamo tra esse includere anche operazioni, espressioni formule – e anche veri e propri discorsi, senza che abbiano un senso, sia soggettivamente, per chi li formula, sia da un punto di vista assoluto. Si è consumata una frattura tra la scrittura e il significato. Occorre fare in modo che non si generi questa frattura, evitando un passaggio affrettato a un livello formale che sia immaturo per le capacità espressive dei bambini e dei ragazzi.

A questo riguardo propongo alla riflessione un contributo di Laurent Lafforgue: «La redazione come parte essenziale della soluzione dei problemi. Sin dalle prime fasi dell’apprendimento del calcolo, bisogna pretendere che gli alunni abbiano la massima cura nella scrittura delle operazioni sulla carta. Allo stesso modo, non appena è possibile formulare una domanda che richieda un calcolo all’interno di una frase semplice che si riferisca a situazioni e oggetti concreti, ossia molto presto, bisogna esigere la presentazione del risultato e del calcolo mediante una frase redatta correttamente.

La complessità delle domande deve aumentare progressivamente, fino a richiedere agli alunni un ragionamento relativamente elaborato e strutturato e quindi la formulazione di più frasi concatenate di presentazione e di narrazione. […] Bisogna esigere dall’alunno la redazione del testo in modo che riesca a comprenderlo lui stesso e come se si stesse rivolgendo a qualcuno che non conosce la soluzione e al quale deve spiegarla. Le frasi devono essere corrette dal punto di vista linguistico, e fare uso del vocabolario preciso della vita pratica, della matematica e della meccanica elementare, delle grandezze fisiche, delle loro misure e delle loro unità. Non devono dimenticare alcun argomento ed essere ben concatenate dal punto di vista logico. Il collegamento tra il calcolo, il ragionamento e la lingua scritta è fondamentale, sia dal punto di vista di un apprendimento più avanzato della matematica e delle scienze naturali, sia per la formazione e la strutturazione generale della mente». [7]

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Andrea Gorini (Insegnante di matematica presso la Scuola Secondaria di I° grado “San Gerolamo Emiliani” di Corbetta – Milano. Presidente dell’Associazione Ma.P.Es.)Indicazioni bibliografiche e sitografiche[1]

S. Baruk, Dizionario di matematica elementare, Zanichelli, Bologna 1998.
[2] R. Zan, I problemi di Matematica. Difficoltà di formulazione e comprensione del testo, Carocci Editore, Roma 2016.
[3] P. Di Martino, La competenza argomentativa in matematica, Mathesis Pavia, 8 ottobre 2015.
[4] P. Di Martino – R. Zan, Insegnare e Apprendere Matematica con le Indicazioni Nazionali, Giunti Scuola, Firenze 2017.
[5] A. P. Longo, Emmeciquadro n° 45 – Giugno 2012, n° 47 – Dicembre 2012, n° 55 – Dicembre 2014.
[6] P. Florenskij, Lezione e Lectio, Emmeciquadro n° 40 – Dicembre 2010.
[7] L. Lafforgue, in:
www.mat.uniroma3.it/users/primaria/Lafforgue_Calcolo%20scuola%20primaria.pdf
[8] A. Millàn Gasca, Pensare in matematica, Zanichelli, Bologna 2012.
[9] A. Millàn Gasca, Numeri e forme. Didattica della matematica con i bambini, Zanichelli, Bologna 2016.