Un caro saluto ai miei piccoli lettori. Questa volta vorrei parlarvi delle candele, un oggetto oggi un po’ fuori moda, ma che un tempo – prima dell’avvento dell’illuminazione elettrica – costituiva (assieme alle lampade a olio) la principale sorgente di luce all’interno delle abitazioni. Nonostante il loro limitato utilizzo nella vita di tutti i giorni – le candele oggi sono usate principalmente nei luoghi di culto oppure anche nelle nostre case, ma solo in casi di emergenza quando, occasionalmente, viene a mancare l’energia elettrica – vi siete mai chiesti come funzionano queste sorgenti luminose? Come fa, cioè, a formarsi una fiamma in cima alla candela? Sembrerebbe a prima vista una domanda abbastanza scontata: la cera di cui è fatta la candela (una sostanza chiamata paraffina) brucia e la fiamma che noi osserviamo non è altro che il risultato di questa combustione. Corretto. Ma, provate – se ci riuscite – a far nascere una fiamma utilizzando esclusivamente della cera! Se accostate un fiammifero acceso ad un blocchetto di cera, infatti, l’unico risultato che sarete in grado di ottenere sarà quello di farlo fondere, senza tuttavia riuscire in alcun modo a provocare l’accensione di una pur minima fiammella. La cera, allo stato solido o liquido, infatti, non brucia! Per innescare il processo di combustione di questa sostanza serve anche lo stoppino. Le candele, infatti, sono composte da un massello di cera (normalmente di forma cilindrica) al cui interno è presente una sottile cordicella fatta di cotone: lo stoppino, per l’appunto.



Qual è, allora, il ruolo fondamentale svolto da questo pezzo di spago? Come ben sappiamo, quando si accende una candela, è solo lo stoppino a bruciare nei primi istanti. Il poco calore prodotto da questa iniziale combustione, tuttavia, si rivela estremamente utile perché è in grado di fondere lo strato di cera sottostante. Con la cera allo stato liquido e la presenza dello stoppino può avvenire la cosa più importante: il processo che effettivamente consente alla candela di emettere luce con continuità. La cera liquida che si forma alla base dello stoppino, infatti, risale lungo questa cordicella per capillarità (il fenomeno fisico di cui abbiamo discusso nel precedente articolo )e, a causa dell’elevata temperatura presente alla sua estremità – circa 800 gradi centigradi – vaporizza, trasformandosi così in un gas. A questo punto, quando la cera è diventata un gas e quindi le sue molecole, ormai ben separate, sono libere di muoversi nello spazio circostante, può finalmente avere luogo il processo di combustione che dà origine alla fiamma.



La combustione, infatti, non è altro che il risultato della reazione chimica che si verifica quando le molecole di ossigeno presenti nell’aria si combinano con quelle della cera che ora, non essendo più legate fra di loro, rendono possibile questo incontro. Questa reazione chimica non solo genera calore e luce – come possiamo constatare direttamente – ma anche acqua (in forma di vapore) e anidride carbonica. Il processo di emissione luminosa, pertanto, può così continuare fino all’esaurimento della cera… sempre che non lo si arresti prima, soffiando sulla fiamma!

 

La fiamma della candela



A proposito di fiamme, se ci avete fatto caso, quella prodotta dalle candele non ha affatto un aspetto omogeneo. La sua parte più interna, infatti, appare meno luminosa e di un colore tendente all’arancione, mentre quella più esterna è più luminosa e di un vivido colore giallo con delle sfumature azzurrognole ai bordi. Questo accade perché la luminosità e il colore di una fiamma dipendono non solo dalla composizione chimica della sostanza che sta bruciando – la paraffina, nel nostro caso – ma anche (e soprattutto) dalla temperatura raggiunta nel processo di combustione: più alta è la temperatura, infatti, maggiore è la luminosità della fiamma. Ebbene, all’interno della fiamma delle candele la temperatura non è affatto costante ma cresce progressivamente dal centro (dove c’è lo stoppino) verso l’esterno. Nelle immediate vicinanze dello stoppino, infatti, a causa del poco ossigeno presente, la combustione della cera non è molto efficiente e di conseguenza la temperatura in questa regione rimane relativamente bassa, con una conseguente minore emissione luminosa. Il massimo di luminosità lo si osserva invece sui bordi e sulla cima della fiamma, dove l’ossigeno è più abbondante e quindi anche la temperatura di combustione più elevata (attorno ai 1400 gradi centigradi).

Avrete, inoltre, sicuramente notato che la fiamma delle candele (come del resto anche quella generata dalla combustione di altri materiali) ha una forma allungata verso l’alto che ricorda, in qualche modo, quella di una lacrima. Questa forma non è casuale, ma la diretta conseguenza della presenza della forza di gravità; in assenza di gravità, infatti, qualunque fiamma avrebbe una forma pressoché sferica! Cosa centra la gravità con la forma delle fiamme? Vi starete chiedendo. Centra, eccome! In presenza della gravità – e solo in questo caso – infatti, vale il principio di Archimede (vedi Zio Albert in Emmeciquadro n. 62) e, di conseguenza, se un corpo è meno denso del fluido che lo circonda – l’aria nel nostro caso – galleggia: viene cioè spinto verso l’alto. E questo è proprio quello che succede alla fiamma delle candele. La fiamma, infatti, riscalda l’aria che la circonda che così si espande diventando in questo modo meno densa di quella più fredda dell’ambiente vicino. Essendo meno densa, pertanto, risentirà della spinta di Archimede che, vincendo la gravità, la trascina verso l’alto. Questo moto ascensionale dell’aria più calda trasporta con sé anche le particelle di cera che stanno bruciando, generando in questo modo la tipica forma allungata della fiamma. Per questo stesso motivo, anche se inclinate una candela, la sua fiamma non modificherà in maniera significativa la propria forma e, soprattutto, manterrà inalterata la propria direzione verticale.

Un’ultima considerazione: cosa succede se si soffia sulla fiamma di una candela? Beh, dipende… Se il soffio è leggero, il suo unico effetto è quello di rimuovere l’anidride carbonica generata dalla combustione e così aumentare l’apporto di ossigeno alla fiamma. Il risultato di questa operazione, pertanto, sarà quello di migliorare la combustione e rendere la fiamma più brillante. Se, al contrario, si soffia con maggiore energia, come ben sappiamo – le candeline delle torte di compleanno ce lo insegnano – la fiamma si spegne. Il motivo dello spegnimento è abbastanza intuitivo. Soffiando si allontana la fiamma dallo stoppino sostituendola con aria più fredda. In questo modo la fiamma, non più alimentata dalla cera che risale dallo stoppino, si spegne. Inoltre, poiché ora in cima alla candela la temperatura si è notevolmente abbassata, la cera (che comunque, continua ancora a emergere dallo stoppino) non riesce più a vaporizzare, impedendo, in questo modo, alla fiamma di riaccendersi.

Sempre a proposito di spegnimento delle candele vi propongo ora un semplice esperimento. Vi servono: una piccola candela (quelle che si usano per le torte di compleanno vanno benissimo), un piatto e un bicchiere di vetro più alto della candela.

 

Primo passo

Posizionate la candela al centro del piatto. Per farla rimanere in piedi, lasciate cadere alcune gocce di cera sciolta sul piatto e appoggiatevi sopra la candela prima che solidifichino.

 

Secondo passo

Accendete la candela e copritela con il bicchiere capovolto. Cosa succede?

 

 

Spiegazione

La candela si spegne. Dopo aver coperto la candela col bicchiere, infatti, la sua fiamma inizierà ad affievolirsi e a ridurre il proprio volume fino a raggiungere il definitivo spegnimento entro alcuni secondi. Questo comportamento è dovuto al progressivo consumo dell’ossigeno presente nel bicchiere causato dalla combustione della cera. Durante questo processo, infatti, le molecole di ossigeno dell’aria si combinano con il carbonio e l’idrogeno presenti nelle molecole della paraffina – il materiale di cui è fatta la cera – per dare origine rispettivamente all’anidride carbonica e al vapore d’acqua. Poiché il contenuto medio di ossigeno nell’aria è circa del 21% (il rimanente 79% è quasi tutto azoto) e l’aria a disposizione della candela è solo quella intrappolata all’interno del bicchiere, quando la percentuale di ossigeno nel bicchiere scende sotto il 15%, le molecole della paraffina non riescono a trovare un numero sufficiente di molecole di ossigeno con cui reagire e, di conseguenza, la fiamma si spegne.

 

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Sergio Musazzi
(Ricercatore e divulgatore scientifico)

 

© Rivista Emmeciquadro

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