Un caro saluto ai miei piccoli lettori. Questa volta vorrei parlarvi di un fenomeno molto importante che riguarda i liquidi quando, in particolari situazioni, vengono a trovarsi intrappolati all’interno di tubicini molto sottili… sottili come un capello! Sì, avete indovinato, vorrei aiutarvi a capire il fenomeno della capillarità. Si tratta di un fenomeno molto comune, responsabile di diversi processi, come per esempio: la risalita della linfa dalle radici delle piante fino alle foglie, oppure la circolazione del sangue in alcune regioni periferiche del nostro corpo. Un altro effetto della capillarità, sotto gli occhi di tutti, è il deterioramento dei vecchi edifici causato dalla risalita dell’umidità dal sottosuolo. L’acqua, infatti, a causa della capillarità risale dalle falde (profonde anche alcuni metri) fino alle murature domestiche dove, interagendo col materiale edilizio, ne provoca il progressivo degrado.
I vasi comunicanti
Per capire di cosa stiamo parlando, andiamo innanzitutto a vedere cosa succede quando versiamo del liquido in recipienti che sono in comunicazione fra loro (per esempio, mediante un tubo posto alla loro base). Come mostrato in figura, il liquido si distribuisce nei vari recipienti portandosi in tutti alla stessa altezza, e questo indipendentemente dalla loro forma.
La spiegazione di questo comportamento è abbastanza intuitiva. Supponiamo, infatti, che l’altezza del liquido in uno dei recipienti sia maggiore di quella negli altri. In questo caso, anche la sua pressione sul condotto che collega fra loro i vari recipienti risulterebbe superiore a quella esercitata (sullo stesso condotto) dal liquido degli altri recipienti. Di conseguenza, per raggiungere una condizione di equilibrio, il liquido dovrà fluire da questo recipiente agli altri fino ad annullare la differenza di pressione. Cosa che avviene solo quando l’altezza del liquido è la stessa in tutti i contenitori (si tratta del noto principio dei vasi comunicanti).
La capillarità
Affrontiamo ora un problema leggermente diverso: cosa succede se si immerge un tubicino di vetro in un recipiente contenente del liquido? Se la sezione del tubicino – che essendo di vetro ci permette di vedere cosa succede al suo interno – è abbastanza grande (diciamo alcuni millimetri di diametro) non succede nulla di inaspettato. L’altezza raggiunta dal liquido all’interno del tubicino sarà esattamente la stessa del liquido che lo circonda per il principio dei vasi comunicanti. Tuttavia, se usiamo tubicini con un diametro interno molto più piccolo (dell’ordine del millimetro o anche meno) le cose vanno diversamente. A seconda del liquido usato e del materiale con cui è fatto il tubicino, il livello raggiunto dal liquido nel tubicino non sarà quello del liquido che lo circonda, bensì superiore o inferiore (vedi figura). Si tratta del fenomeno della capillarità di cui parlavamo all’inizio. Per spiegare questi comportamenti dobbiamo, allora, capire cosa succede quando un liquido si trova imprigionato in una regione molto stretta. I fenomeni da prendere in considerazione in questo caso sono ben tre: la tensione superficiale del liquido e gli effetti congiunti delle forze di coesione molecolare e delle forze di adesione superficiale.
Vediamo un po’ più da vicino di cosa si tratta. Come ben sappiamo, un liquido è composto da molecole (aggregati di atomi) che si attirano fra di loro, ma non così tanto da impedire al liquido stesso di assumere sempre la forma del recipiente in cui viene versato. La forza di attrazione che una molecola del liquido esercita su quelle vicine è la cosiddetta forza di coesione, la forza che, come abbiamo già descritto (vedi Emmeciquadro n° 74-Febbraio 2020) è anche responsabile dell’insorgere del fenomeno della tensione superficiale. Questo fenomeno, lo ricordiamo, consiste nel fatto che le molecole della superficie libera di un liquido formano una sorta di pellicola elastica che ricopre il liquido sottostante rendendolo in grado di sostenere dei piccoli pesi. Uno degli esempi più noti di questo comportamento è quello degli insetti che riescono a camminare sulla superficie di uno stagno senza sprofondare. Nel caso delle gocce, poi, la tensione superficiale è il principale fenomeno responsabile della loro forma sferica.
Parlando di gocce riusciamo anche a comprendere il ruolo svolto dalla forza di adesione, cioè dalla forza con cui le molecole di un liquido sono attirate da quelle della superficie con cui sono in contatto. Quando depositiamo la goccia di un liquido su una superficie solida, infatti, la sua forma dipende proprio da queste forze.
Prendiamo per esempio una goccia d’acqua posta su una superficie di vetro. La sua forma cambia notevolmente se questa superficie è pulita oppure ricoperta di grasso: nel primo caso, infatti, la goccia tenderà a distendersi e ad aumentare la sua superficie di contatto, nel secondo caso, al contrario, la goccia cercherà di ridurre al minimo questa superficie (vedi figura).
Questo comportamento può essere facilmente spiegato dal conflitto che nasce fra le forze di coesione e quelle di adesione superficiale. Detto in altri termini, se prendiamo una molecola del liquido che si trova in prossimità della superficie solida, questa molecola si sentirà tirata da parti opposte (proprio come nel tiro alla fune): da un lato è attirata dalle altre molecole del liquido a lei vicine, dall’altro dalle molecole del solido con cui è in contatto. Chi tira più forte vince! Infatti, se la forza di adesione con cui le molecole della superficie solida attirano quelle del liquido è maggiore di quella di coesione con cui queste ultime si attirano fra di loro – come nel caso del vetro pulito – la goccia tenderà a distendersi e così bagnare maggiormente la superficie di contatto. Se, invece, accade il contrario – come nel caso della presenza di uno strato superficiale di grasso – saranno le forze di coesione molecolare a prevalere e la goccia d’acqua in questa situazione ridurrà il più possibile la sua area di contatto (si parla in questo caso di superficie idrorepellente). Questi due opposti comportamenti sono facilmente individuabili (e quantificabili) osservando l’angolo di contatto fra la superficie della goccia e quella del solido su cui poggia (vedi figura). Infatti, se questo angolo è minore di 90 gradi significa che prevale la forza di adesione superficiale, se invece è maggiore di 90 gradi vuol dire che a prevalere è la forza di coesione molecolare. Se è esattamente di 90 gradi siamo nel caso in cui le due forze si equivalgono.
A questo punto abbiamo tutti gli elementi che ci permettono di comprendere il fenomeno della capillarità. Domandiamoci innanzitutto: che cosa caratterizza maggiormente un liquido contenuto all’interno di un capillare? La cosa più evidente è che, a causa della ristretta sezione del tubicino, la maggior parte del liquido al suo interno si trova in contatto diretto con la sua parete (o ne è molto vicina), ragion per cui sarà proprio l’interazione fra le molecole della superficie interna del capillare e quelle del liquido a determinare il comportamento di quest’ultimo. Poiché le forze in gioco sono le stesse che abbiamo descritto in precedenza a proposito delle gocce, anche all’interno di un capillare si rinnoverà il conflitto fra le forze con cui le molecole del liquido si attirano fra di loro e quelle con cui sono attirate dalla parete del tubicino.
Analizziamo, allora, come queste forze agiscono sul liquido e, in particolare, sulla sua superficie libera. Nel caso più comune, cioè quello in cui la forza di adesione superficiale supera quella di coesione, le molecole della superficie libera del liquido saranno maggiormente attratte dalla parete del capillare, con il risultato di «arrampicarsi» su di essa per cercare di bagnarla il più possibile. Durante questa risalita trascineranno ovviamente con sé anche le molecole sottostanti, con il risultato di far muovere all’insù l’intera colonna liquida. In pratica, è come se la superficie libera del liquido – che, non dimentichiamo, si comporta come una pellicola elastica a causa della tensione superficiale – agisse come il pistone di una siringa che risucchia verso l’alto il volume del liquido sottostante. Questa corsa terminerà quando il peso del liquido sollevato riuscirà a bilanciare le forze di adesione che hanno causato la sua risalita. Se, al contrario, l’attrazione fra le molecole del liquido supera quella esercitata dalla parete del capillare, le molecole della superficie liquida cercheranno di allontanarsi da questa parete con il risultato di spingere l’intera colonna liquida all’ingiù, sotto il livello del liquido che circonda il tubicino.
Due ulteriori considerazioni
La prima riguarda la forma della superficie libera del liquido nel capillare. Come evidenziato nella precedente figura relativa al fenomeno della capillarità, questa superficie non è piana ma curva, forma cioè una «gobba» che può essere rivolta verso il basso (profilo concavo) oppure verso l’alto (profilo convesso). L’esistenza di questa gobba è imputabile principalmente alla presenza della tensione superficiale che «lega» fra di loro le molecole che si trovano sulla superficie libera del liquido rendendole, come abbiamo già sottolineato, del tutto simili a una pellicola elastica. Poiché questa pellicola è maggiormente sollecitata dalle forze che agiscono ai suoi bordi (cioè più vicino alla parete del capillare) e meno al centro, anche gli effetti della capillarità saranno più pronunciati ai suoi bordi e meno al centro, deformandola di conseguenza. La superficie libera del liquido assumerà perciò una forma concava se «tirata» verso l’alto quando il liquido sale, oppure una forma convessa se «spinta» verso il basso quando accade il contrario.
La seconda considerazione riguarda la dipendenza del fenomeno dalle dimensioni del capillare. L’esperienza ci insegna che riducendo progressivamente il diametro del tubicino gli effetti della capillarità diventano via via sempre più evidenti: quanto più sottile è il capillare, infatti, tanto maggiore risulta essere la risalita (o l’abbassamento) del liquido al suo interno (vedi figura). La spiegazione di questo comportamento è abbastanza intuitiva. Aumentando il diametro del tubicino, infatti, aumenta anche il peso della colonna liquida che deve essere trascinata per effetto della capillarità, e questo ovviamente condiziona «pesantemente» l’efficienza del fenomeno.
Esperimento
Vi propongo ora un semplice esperimento sulla capillarità. Vi servono tre bicchieri, tre striscioline di carta e del colorante per alimenti (oppure del colore ad acquarello).
Primo passo
Ritagliate tre striscioline di carta di circa 3 x 10 centimetri utilizzando rispettivamente: carta di giornale, carta assorbente e carta di quaderno.
Secondo passo
Dopo aver riempito i tre bicchieri con acqua colorata per un’altezza di circa due centimetri, immergete in ciascun bicchiere una strisciolina di carta. Dopo un po’ di tempo noterete che la parte sporgente dall’acqua delle striscioline di carta si è anch’essa colorata, ma in modo differente nei tre bicchieri. L’altezza raggiunta dal colore infatti è diversa nelle tre striscioline.
Spiegazione
La risalita dell’acqua colorata nelle tre striscioline di carta è dovuta al fenomeno della capillarità. La carta, infatti, non possiede una struttura omogenea ma porosa, presenta cioè dei sottilissimi interstizi al suo interno che danno origine a questo fenomeno. Quanto maggiore è la sua porosità tanto più efficiente sarà perciò il fenomeno della capillarità. Per questo motivo la risalita del colore nelle tre striscioline di carta sarà maggiore in quella realizzata con la carta assorbente (che è la carta più porosa) e minore nella strisciolina proveniente dalla carta di quaderno (che per evitare alle tracce d’inchiostro di spandersi è stata opportunamente trattata per ridurne la porosità). L’altezza del colore nella carta di giornale dipende, invece, dal tipo di giornale utilizzato (la carta dei quotidiani è, in generale, più porosa di quella delle riviste illustrate e quindi la risalita del colore su di essa è maggiore).
Sergio Musazzi
(Ricercatore e divulgatore scientifico)
© Pubblicato sul n° 86 di Emmeciquadro