Un caro saluto ai miei piccoli lettori. Questa volta vorrei cercare di rispondere a una domanda che, immagino, molti di voi si saranno posti in occasione di un bagno al mare o di una nuotata in piscina: perché sott’acqua (nonostante l’acqua sia perfettamente trasparente) non si riesce a vedere bene come quando siamo all’asciutto?
Quando ci guardiamo intorno con gli occhi a contatto con l’acqua, infatti, le cose che ci circondano ci appaiono sempre poco definite e, per quanto ci sforziamo, non riusciamo in alcun modo a metterle correttamente a fuoco come vorremmo.
Per capire perché questo succede, tuttavia, dobbiamo prima fare qualche breve accenno sul funzionamento del nostro apparato visivo.



 

Il nostro apparato visivo

Senza entrare troppo nei dettagli, ricordiamo che l’apparato visivo è composto da occhi e cervello e che i nostri occhi hanno, grosso modo, la stessa struttura di una macchina fotografica. Sono, infatti, dotati di un sistema di lenti che forma sulla retina – l’equivalente della pellicola fotografica – l’immagine capovolta dell’oggetto che stiamo osservando (come schematicamente mostrato in figura).



 

Le cellule sensibili alla luce presenti sulla retina (i fotorecettori) trasformano l’intensità luminosa dell’immagine in impulsi elettrici che, inviati al cervello attraverso il nervo ottico, vengono opportunamente elaborati per restituirci la sensazione del vedere.

Ma concentriamoci sugli occhi. Come abbiamo anticipato, questi nostri organi sono dotati di un sistema di lenti che ha il compito di formare l’immagine dell’oggetto osservato sulla retina. Si tratta di un sistema ottico composto da due elementi: la cornea (la parte bianca dell’occhio) e il cristallino. Quest’ultimo è una piccola struttura trasparente a forma di lenticchia (del diametro di circa 10 millimetri) posta dietro la cornea, che svolge una funzione molto importante: sotto l’azione dei muscoli che lo sostengono, infatti, riesce a modificare la propria forma in modo tale da mettere correttamente a fuoco sulla retina i raggi luminosi in arrivo (un processo, detto di accomodazione, che noi facciamo in maniera involontaria, senza cioè rendercene conto). Ma, attenzione, questo processo non sarebbe in alcun modo realizzabile se i raggi luminosi non fossero stati prima intercettati dalla cornea. Quest’ultima, infatti, a causa del fenomeno della rifrazione (che abbiamo già incontrato parlando di miraggi e arcobaleni), modifica (e di molto!) la direzione di propagazione dei raggi luminosi in arrivo, indirizzandoli verso il centro della retina e lasciando così al cristallino il solo compito di introdurre le piccole correzioni necessarie per la corretta messa a fuoco dell’immagine. È importante sottolineare che senza la preventiva azione di piegatura dei raggi luminosi effettuata dalla cornea, il cristallino non riuscirebbe a svolgere correttamente la propria funzione di messa a fuoco dell’immagine.



 

E sott’acqua?

A questo punto, chiarito il ruolo cruciale che la cornea svolge nel meccanismo della visione, siamo finalmente in grado di comprendere che cosa non va quando cacciamo la testa sott’acqua. Il motivo della ridotta visibilità in questa situazione, infatti, dipende principalmente dal fatto che la densità ottica della cornea (cioè quanto la cornea ostacola e quindi rallenta la luce che la attraversa) supera di poco quella del fluido che la circonda (l’acqua, in questo caso), e questo ha importanti conseguenze sul fenomeno della rifrazione. L’angolo a cui sono rifratti i raggi luminosi che incidono sulla cornea, infatti, dipende esclusivamente da quanto bruscamente vengono frenati quando la incontrano: quanto più violenta è questa frenata, tanto maggiore risulterà essere la deviazione subita dai raggi. Ora, siccome la densità ottica dell’acqua e quella della cornea sono molto simili, anche la velocità della luce nei due mezzi diventa confrontabile e, di conseguenza, nel passaggio dal mezzo meno denso (l’acqua) a quello più denso (la cornea) il rallentamento subito dalla luce è decisamente molto piccolo. Poiché a deboli frenate corrispondono piccole deviazioni, la cornea non riesce a piegare a sufficienza i raggi luminosi in arrivo e questo impedisce al cristallino di mettere correttamente a fuoco l’immagine dell’oggetto osservato. Risultato finale: sott’acqua vediamo gli oggetti che ci circondano molto peggio di quando i nostri occhi sono a contatto con l’aria.

Il problema, tuttavia, può essere facilmente risolto indossando una maschera da sub (o gli occhialini di protezione). In questo caso, infatti, a contatto con i nostri occhi non c’è l’acqua ma, anche se piccolo, uno strato d’aria e questo permette alla cornea di tornare a svolgere correttamente il proprio compito.

Un fenomeno curioso: la riflessione totale

Gli amanti delle immersioni, tuttavia, avranno sicuramente notato un altro curioso fenomeno. Quando da sott’acqua si cerca di guardare fuori, oltre la superficie liquida, ci si accorge che la luce proveniente dall’esterno riesce a penetrare nell’acqua solo all’interno di una limitata regione circolare. In pratica, gli unici raggi luminosi che dalla superficie dell’acqua riescono a raggiungere gli occhi di chi è immerso (sia esso un sub oppure una sua preda) sono solo quelli provenienti da una regione angolare di (circa) 49 gradi attorno alla verticale. Oltre questo angolo, infatti, la superficie dell’acqua diventa opaca alla luce esterna, comportandosi per chi sta sott’acqua come un vero e proprio specchio che riflette i contributi luminosi provenienti dal mondo subacqueo.

Il fenomeno responsabile di questo comportamento è, ancora una volta, la rifrazione. Per comprendere come stanno realmente le cose immaginiamo, allora, di trovarci sott’acqua muniti di una torcia e di inviare un raggio luminoso verso l’esterno. Come sappiamo, a causa della rifrazione

questo raggio non potrà proseguire il suo percorso oltre la superficie di separazione acqua-aria mantenendo la stessa direzione di provenienza (a meno che incida perpendicolarmente), ma dovrà piegarsi a un certo angolo. Poiché l’acqua è otticamente più densa dell’aria, le leggi dell’ottica prescrivono che in questo caso l’angolo r formato dal raggio rifratto rispetto alla verticale debba essere maggiore di quello di incidenza i (come mostrato in figura a).

Al crescere dell’angolo di incidenza, pertanto, il raggio rifratto aumenterà sempre di più la propria inclinazione rispetto alla verticale, fino a raggiungere 90 gradi. A questo punto, infatti, sarà parallelo alla superficie dell’acqua e non potrà piegarsi ulteriormente (come mostrato in figura b). L’angolo di incidenza a cui si verifica questo comportamento è detto angolo limite e, come anticipato, per un raggio luminoso che dall’acqua passa all’aria vale circa 49 gradi. Ma, allora, cosa succede se il raggio incidente supera questo angolo? In questo caso il raggio rifratto non scompare ma, anziché rifratto, sarà riflesso dalla superficie dell’acqua e proseguirà il suo percorso sott’acqua (fenomeno noto come riflessione totale).

Torniamo, ora, al nostro sub e domandiamoci: cosa riuscirà a vedere oltre la superficie liquida attraverso la ristretta regione angolare di 49° da cui penetra la luce esterna? La cosa sorprendente è che nonostante l’angolo di osservazione sia limitato, il sub (ma anche il pesce a cui dà la accia) riesce a vedere l’intero panorama esterno. La spiegazione del perché è semplice se si considera il fatto che i raggi luminosi provenienti dall’esterno vengono anch’essi rifratti e percorrono, ma nel senso opposto, lo stesso tragitto di quelli che arrivano da sott’acqua. Per questo motivo il raggio di luce che arriva al sub dall’estremo del suo campo visivo (e cioè con un angolo di 49°) deve aver prima viaggiato nell’aria parallelamente alla superficie dell’acqua (proprio come avrebbe fatto nella direzione opposta il suo omologo inviato da sott’acqua all’angolo limite). È chiaro, allora, che tutto quello che sta sopra il pelo libero dell’acqua riesce a inviare luce all’interno del cono di visibilità di chi è in immersione. In pratica, chi si trova sott’acqua riesce a vedere entro un angolo di 49 gradi attorno alla sua verticale tutto ciò che all’esterno è compreso in 90 gradi, ossia dalla direzione della verticale fino al piano. Per verificare il fenomeno della riflessione totale di cui abbiamo parlato fin qui, vi propongo un semplice esperimento.

L’esperimento

Vi servono un disco di cartone con un raggio di 3-4 centimetri, uno spillo leggermente più corto del raggio del disco (questo requisito è molto importante) e una vaschetta dai bordi opachi.

Primo passo

Appuntate lo spillo al centro del disco di cartone.

Secondo passo

Fate galleggiare il disco di cartone con lo spillo a testa in giù in una vaschetta dalle pareti opache riempita d’acqua. Ora cercate una posizione da cui riuscite a vedere lo spillo.

 

Spiegazione

Non ci siete riusciti! Lo spillo, infatti, scompare a causa della riflessione totale. Più precisamente, i raggi luminosi provenienti dalla sua estremità (e ovviamente anche quelli provenienti dai punti più interni) che non sono direttamente bloccati dal disco di cartone, incidono sulla superficie dell’acqua a un angolo maggiore dell’angolo limite (cioè maggiore di 49°) e quindi non vengono rifratti verso l’esterno ma riflessi all’interno del recipiente. Di conseguenza non potendo emergere dall’acqua non possono raggiungere i vostri occhi.

 

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Sergio Musazzi
(Ricercatore e divulgatore scientifico)

 

© Pubblicato sul n° 84 di Emmeciquadro

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