Pensiero e linguaggio presentano due linee di sviluppo distinte ma strettamente intrecciate. Le dinamiche di tale intreccio influenzano profondamente l’apprendimento di una disciplina come la matematica, e in modo particolare nella fascia di età della Secondaria di primo grado. Sono perciò rilevanti le considerazioni proposte in questo intervento, su come è possibile condurre una interrogazione come conversazione didattica, che coinvolga tutta la classe oltre ai diretti interessati. Occorre una profonda consapevolezza di metodo nel guidare il lavoro di domanda in domanda, di gradino in gradino.
In più occasioni siamo intervenuti nella riflessione su come e quanto il linguaggio – parlato e scritto – sia intrinsecamente coinvolto nel processo di apprendimento e quindi interessi la didattica della matematica. In queste note vogliamo puntare l’attenzione su alcuni momenti di lavoro in classe nei quali vale la pena dare spazio e dedicare tempo all’azione del parlare, azione che riguarda sia l’insegnante sia gli allievi. In questa sede mettiamo a fuoco in particolare il parlare da parte dei ragazzi.
Prima di entrare nello specifico vogliamo sinteticamente delineare l’orizzonte entro il quale inscriviamo il tema.
L’ipotesi di lavoro che negli anni ha sempre di più orientato le nostre decisioni circa cosa insegnare e come insegnarlo, ipotesi che quindi ha guidato il nostro ideare, progettare e rischiare la proposta dei percorsi di apprendimento, anche nuovi, nelle nostre classi, verificandone la validità, è sintetizzata nell’espressione: «reinvenzione guidata».
L’abbiamo raccolta da Hans Freudenthal [1] e ci ha subito affascinato, in quanto tiene insieme due dimensioni che appartengono e danno vita al rapporto educativo nell’ambito della scuola, danno vita cioè all’insegnamento, e in particolare a quello della matematica.
Nella parola reinvenzione possiamo leggere un giudizio, implicito, che potremmo esprimere così: riconosciamo e stimiamo la capacità di ragione dei ragazzi. Per pensare, nel nostro fare scuola, delle attività che favoriscano una mossa, una messa in gioco personale da parte dei ragazzi, occorre riconoscere e stimare la capacità dei nostri allievi di entrare in rapporto ragionevole con le cose, con la realtà, seppure in aspetti particolari.
Nella parola guidata risaltano invece il compito e la responsabilità dell’insegnante – messi in discussione da molte teorie pedagogiche e didattiche oggi in voga – che consistono nell’insegnare comunicando, non con discorsi, ma per come ci si muove e si propone il lavoro, la propria esperienza di conoscenza della realtà, quella che ci si è rivelata come accesso a una dimensione profonda di rapporto con il reale, pur nel particolare rapporto richiesto dalla disciplina. Dentro la parola «guidata» possiamo leggere quindi la ragione più profonda dell’insegnamento, quella di condividere, di ridonare l’esperienza di crescita del proprio personale rapporto con la realtà, accompagnando così ogni ragazzo nel cammino di maturazione della coscienza di sé, come soggetto capace di ragione, cioè intelligente della realtà, e capace di libertà, cioè di apertura e adesione alla realtà nella sua verità e nel suo significato.
Negli anni abbiamo visto accadere proprio questo, e proprio nei ragazzi di scuola secondaria di primo grado che, implicandosi nel lavoro con tutto loro stessi ciascuno secondo le proprie possibilità, a un certo punto si sono resi conto di essere in grado di capire e ne hanno sperimentato la soddisfazione, sentendo acutamente l’urgenza di comprendere anche il senso di ciò che insegnavamo loro.
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Anna Marazzini (Già docente di Matematica e Scienze nella Scuola Secondaria di Primo Grado)