Quali sono le condizioni che possono favorire l’apprendimento della matematica?
Iniziamo a intenderci su che cosa sia apprendere la matematica. Per tanti, troppi, significa – limitando gli esempi alla scuola primaria, l’ambito in cui personalmente ci si forma un’idea di che cosa possa essere questa disciplina – memorizzare e applicare le regole, gli algoritmi delle operazioni, le formule dei perimetri e delle aree, le equivalenze… Un punto di vista come questo sottolinea, se non assolutizza, una sola dimensione della matematica, quella procedurale. È il retaggio di un’impostazione didattica tradizionalistica, superata dai tempi, perché oggi è ormai inevitabile doversi confrontare con la pervasività di strumenti di calcolo che fino a vent’anni fa erano sconosciuti e che diminuiscono di molto l’importanza di tali conoscenze.
Se pensiamo invece che apprendere la matematica sia esercitare il pensiero per acquisire una tradizione culturale, per altro antichissima e ricchissima, la prospettiva è diversa: anche l’apprendimento di un algoritmo di calcolo può essere un’esperienza di esplorazione e di scoperta. La prima sezione del libro La matematica e l’esperienza, intitolata Apprendere, è una documentazione di quali possono essere le attenzioni che un insegnante può avere per favorire nei suoi alunni un atteggiamento non di esecuzione, bensì di pensiero: la richiesta di intrapresa, l’utilizzo della discussione, il lavoro sull’errore, interpretato non come segno di mancata correttezza, ma come manifestazione di una mossa del pensiero.
In quale senso l’esperienza è via per l’apprendimento?
Abbiamo scelto questa citazione per la quarta di copertina, in cui si cita la parola esperienza, che non a caso fa parte anche del titolo: «La conoscenza nasce dall’esperienza, quindi anche in matematica occorre fare esperienza; ma poi bisogna giudicarla, sintetizzarla, trovare una struttura comune a diverse situazioni, rappresentare, generalizzare».
Possiamo delineare sinteticamente alcune dimensioni che costituiscono l’esperienza: è un’intrapresa in cui il soggetto mette in campo le sue energie, per appropriarsi di un brano della realtà che diventa oggetto della sua attenzione.
In questo senso “fare esperienza” non è semplicemente svolgere un’attività: deve essere esercizio di ragione, perché non si dà esperienza senza giudizio, senza aver raggiunto delle affermazioni verificate, senza incremento di conoscenza. Una conoscenza che si esprime attraverso passaggi di astrazione.
L’impegno richiesto agli insegnanti è multiforme: occorre scegliere situazioni problematiche, esercizi, attività che possano innescare quei processi mentali che portano a incontrare i concetti della matematica, che facciano nascere i concetti astratti dalla manipolazione, dall’analisi di situazioni concrete. Devono inoltre aiutare gli allievi a sviluppare un linguaggio via via più preciso, perché è proprio il linguaggio lo strumento per condurre ed esprimere l’astrazione, sia dalle situazioni reali, sia dalle situazioni particolari, verso risultati più generali. È una possibilità per tutti.
È indubbio che ci siano alunni che conseguono risultati migliori e altri che faticano: è davvero una possibilità per tutti?
Nel testo Il gene della matematica di Keith Devlin, pubblicato più di vent’anni fa, si legge: «Le caratteristiche del cervello che ci consentono di fare matematica sono le stesse che ci consentono di usare il linguaggio; in altre parole, le stesse grazie alle quali parliamo con gli altri e comprendiamo quanto essi ci dicono.» Stando a questa affermazione vien da dire che la possibilità è proprio per tutti. Occorre però che l’insegnamento sia adeguato, consapevole delle caratteristiche di ogni allievo e delle peculiarità della disciplina. È quanto abbiamo cercato di indagare nel nostro testo, con le pagine dedicate alle difficoltà, agli errori, al linguaggio a partire da quanto abbiamo visto accadere in classe, da allievi reali. La possibilità di comprendere è per tutti, qualcuno farà una strada più lunga, qualcuno solo pochi passi, ma con la consapevolezza comunque di essere capace.
Vai al PDF per l’intero articolo
(a cura di Raffaella Manara)