I mesi di didattica a distanza hanno fatto emergere che c’è ancora una grande aspettativa rispetto alla scuola, da parte dei ragazzi, delle famiglie, e anche del contesto sociale in generale. A livello epidermico ciò si manifesta con attenzione anche un po’ eccessiva alla funzione socializzante (ai bambini mancano i compagni… e via di questo passo), ma più in profondità si riconosce anche l’importanza della sua funzione culturale e formativa. Abbiamo voluto approfondire questa prospettiva col professor Marcello Tempesta, professore di Pedagogia generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università del Salento (Lecce).
Questa rinnovata stima per l’esperienza scolastica può essere un punto di forza perché il mondo della scuola abbia il coraggio di affrontare i problemi (gravi!) che aveva anche prima della pandemia e ricerchi un possibile cambiamento, anche strutturale?
La terribile e inedita pandemia che ha sconvolto le nostre vite a partire dall’inizio del 2020 ha offerto, a mio giudizio, una imprevedibile e paradossale opportunità per riaccorgersi del senso della esperienza scolastica nella vita sociale e per interrogarsi sul destino e sulla forma dei sistemi di istruzione nel prossimo futuro. Focalizzando l’attenzione sul nostro paese, questa circostanza, che poteva definitivamente travolgere un mondo considerato in grave difficoltà come quello dell’istruzione, è stata invece l’occasione (pur in una situazione a macchia di leopardo) per un complessivo risveglio della vita scolastica che ha stupito molti e che ha permesso di sorprendere in modo non meramente contingente l’accadere delle sue dinamiche sorgive e generative.
Quando alla scuola è stato apparentemente tolto tutto (le sue dotazioni strutturali e strumentali, la sua routine e le sue abituali dinamiche, l’insieme articolato delle attività che arricchiscono la sua offerta formativa ma a volte la appesantiscono rendendola una sorta di “supermarket della formazione”), essa si è come aggrappata ai suoi “essenziali”, sentendo minacciato un valore tante volte non percepito o dato per scontato: l’educare istruendo (lo specifico della scuola), ossia una relazione interpersonale che aiuta le persone a crescere introducendole alla realtà attraverso una comunicazione viva del patrimonio culturale.
I (tanti) problemi della scuola sono magicamente scomparsi grazie a questa insospettata risposta, segno di vitalità umana e culturale? Assolutamente no, poiché il faro puntato per alcuni mesi su un mondo generalmente marginale nella comunicazione pubblica ha evidenziato e amplificato le sue grandezze (una fertile creatività educativo-didattica, la tenace resistenza di una silenziosa positività in atto in tanti soggetti, in tante classi e in tanti istituti) e le sue pochezze (a livello individuale e a livello sistemico). Si tratta di non perdere questa occasione, cercando di intercettare i fattori già presenti che, se sostenuti, possono far crescere il protagonismo e l’efficacia della scuola, evitando di sognare palingenesi irrealistiche, astratte e calate dall’alto, ma anche di far finta di niente, tornando alla “normalità” dopo la parentesi della pandemia, come se niente fosse: i problemi della scuola,
colpevolmente trascurati in questi anni, sono di lunga data e sono ben noti agli osservatori e ai protagonisti del mondo dell’istruzione. Un confronto serio, a tutti i livelli, e un’azione complessiva, fatta di interventi che liberino energie ingabbiate anche attraverso investimenti mirati, non è più ulteriormente rinviabile.
Il bisogno di cambiamento dei sistemi scolastici e dei metodi educativi sembra imporsi dopo l’esperienza di questi mesi. Ma era già presente: quali i principali aspetti che indicavano l’esigenza di cambiamento?
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Marcello Tempesta
(professore di Pedagogia Generale e Sociale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Beni Culturali dell’Università del Salento)