“La nostra gente vuole tornare a lavorare. Faranno il distanziamento sociale e tutto il resto, gli anziani saranno salvaguardati. Possiamo fare tutte e due le cose insieme. La cura non può essere peggiore, molto peggiore, del problema”. Questa dichiarazione di Trump coglie perfettamente la sfida di questi giorni; una sfida che in Italia non si comprende semplicemente perché il sistema va ancora avanti per inerzia, ma a breve, anzi, a brevissimo, ci si accorgerà non solo della marea di disoccupati che monta, ma anche di quali siano le conseguenze di non riuscire a coniugare lavoro e sicurezza.
Il primo campanello è arrivato ieri con l’annuncio dello sciopero dei benzinai. In un mondo in cui il giro d’affari è crollato dell’85% tenere aperte un’attività come una pompa di benzina è semplicemente impossibile. Non si tratta di guadagnare, ma di perdere un sacco di soldi tutti i giorni. Se le attività che producono e fanno da supporto non possono scaricare su un numero sufficiente ampio di utenti finali la propria produzione e in più devono continuare a pagare tasse semplicemente chiudono. Se chiudono i benzinai, smettono di girare i camion e se smettono di girare i camion addio merce sugli scaffali. È una questione che non è ancora chiara per una diseducazione di un’ampia fascia di persone e di molti membri del Governo che non riesce a concepire cosa significhi affrontare in prima persona il rischio di un’impresa e quanto sia difficile trovare i clienti e confrontarsi con una competizione che è già difficilissima e che tra qualche settimana sarà asfissiante a causa della crisi.
È sorprendente osservare l’incomprensione dei sindacati che pure dovrebbero rendersi conto della posta in gioco. Non si tratta di contrapporre le ragioni del guadagno a quelle della salute. Sarebbe un problema complesso in una fase normale figuriamoci con la crisi che sta arrivando. La sfida è un nuovo modo di affrontare l’emergenza coronavirus. La domanda non può essere solo: “come faccio a non ammalarmi?”. Se questa è la domanda la risposta ovviamente può essere solo interrompere qualsiasi attività, ma a quel punto la “cura” sarà ben peggiore del problema con dei costi, prima economici, poi sociali e alla fine anche sanitari semplicemente insostenibili.
La domanda di oggi è un’altra e cioè: “come posso continuare a lavorare e quindi preservare quello che c’è senza ammalarmi?”. Questa è la sfida. Una sfida che non può prescindere da misure economiche rilevanti subito. Qualsiasi altro approccio ci farà finire in un baratro di cui davvero non si vede il fondo. Lo sciopero dei benzinai è solo l’inizio e promette malissimo. Come arriveranno i respiratori negli ospedali? E le medicine? E con che soldi visto che nessuno lavora? Accusare i benzinai di egoismo sarebbe l’insulto peggiore. Anche loro devono poter vivere e lavorare. Così scopriremo, come tantissimi altri piccoli imprenditori, che non sono la parte peggiore del Paese ma quella migliore. Sono quelli che hanno tenuto aperto con tre crisi senza garanzie, senza posto fisso garantendo a tutti gli altri di poter fare la vita che facevano. Gli eroi di questi giorni non sono solo i medici; anche gli idraulici che riparano i ventilatori, gli elettricisti, ecc. Persone che devono essere aiutate.
Il primo aiuto però è non bloccare il Paese. Semplicemente perché bloccando il Paese i costi degli aiuti “statali” lieviteranno fino a diventare insostenibili in assenza di qualsiasi entrata e soprattutto con migliaia di imprese che chiudono per non aprire mai più. Altrimenti alla fine ci sveglieremo e dovremo amaramente constatare che la cura è stata peggiore del problema. E vi assicuriamo che su questo livello tutto il mondo e i politici di ogni colore si stanno interrogando proprio osservando il costo enorme delle misure restrittive decise in Italia. Sono misure a cui si può resistere per qualche settimana al massimo. Non oltre.