Intorno allo sciopero generale che si è tenuto lo scorso venerdì 17 novembre si è consumata un’accesa querelle. Innanzitutto, nei giorni antecedenti alla mobilitazione indetta contro la manovra finanziaria al vaglio del Parlamento, si è assistito ad uno scontro tra Governo e i sindacati CGIL e UIL, promotori dello sciopero stesso. Si è così arrivati ad un compromesso che ha visto, dopo la precettazione, la riduzione dello stop a 4 ore nel settore trasporti, da bus e metro, ai treni e traghetti, rimanendo invece di 8 ore per le altre categorie, dalla scuola alla sanità alle poste, a livello nazionale. I botta e risposta sono però proseguiti anche dopo. Si è assistito infatti ad una serie di dichiarazioni, tra fonti ministeriali e sigle sindacali, in merito alle reali cifre sulle adesioni, tra chi da un lato parlava di flop e chi invece millantava il successo riscosso. Il Foglio con Dario Di Vico, nel commentare tutta la vicenda, ha formulato interessanti riflessioni su quello che ormai appare essere un ‘sindacalismo fallito.



Nell’articolo del quotidiano si fa infatti riferimento ad una nuova idea di parti sociali e di come, quello a cui si è assistito, possa essere definito uno sciopero generale di minoranza, da non ricondurre necessariamente ai dati delle adesioni , reali o meno che siano, ma al mutamento del ruolo dei sindacati negli ultimi anni.



SCIOPERO: I SINDACATI POSSONO DIRSI TRAMONTATI?

Di Vico sul “Foglio” ha voluto rimarcare non tanto il tramonto dei sindacati, che coprono le varie categorie di lavoratori su tutto il territorio nazionale. Come si legge semmai “hanno tradito il loro ruolo che dovrebbe essere sussidiario e orientato alla ricerca di soluzioni attraverso negoziati e accordi. Le parti sociali dovrebbero far parte della società civile e invece si muovono spesso come frazioni della società politica.” In pratica, ciò che viene messo in dubbio è come i sindacati di oggi non riescano più a fare le veci dei lavoratori come dovrebbe essere il loro scopo originario. Anzi, l’impressione è come spesso si uniformino alle decisioni dei vari governi che si susseguono, senza affrontare in concreto problemi e senza creare soluzioni condivise.



Se così fosse l’indizione dello sciopero (che ormai predilige strategicamente l’ultimo giorno della settimana da almeno 15 anni) sembrerebbe più che altro uno specchio per le allodole. Senza contare che già il fatto che uno sciopero, venduto come generale, viene indetto da due delle tre principali confederazioni fa capire come il sindacato venga meno alla sua vocazione maggioritaria, circoscrivendo un ambito di rappresentanza che dovrebbe invece essere universalistico. E il tutto viene anche condito, come sottolinea sempre il quotidiano, alla superficialità con cui le mobilitazioni vengono organizzate, senza divulgare in maniera mirata le singole ragioni sottese allo sciopero. Portando così i lavoratori a prendervi parte senza nemmeno sapere il perchè.