Vi è una scuola superiore a Milano con la sede divisa su due palazzi. Sono distanti l’uno dall’altro alcune centinaia di metri. Permettono a docenti e studenti di muoversi anche a piedi fra le due sedi con poco disagio. Un unico preside, un unico corpo docente, insomma un unico istituto scolastico. Però vi sono due gestioni dei servizi generali. La sede “storica” ha solo dipendenti pubblici, i tradizionali bidelli, mentre la sede arrivata dopo (brutto chiamarla secondaria) è invece gestita per portierato, pulizie e “bidelli” da dipendenti di una cooperativa che ha vinto la gara per i servizi dati in appalto.
Il periodo appena vissuto caratterizzato dalla chiusura e poi dalla riapertura della scuola ha visto tutti impegnati. Con la ripresa dell’anno scolastico, però, le riunioni per organizzare distanziamento, sanificazione, ecc. hanno registrato comportamenti diversi. Da un lato, i rappresentanti dei dipendenti della Pa hanno richiesto molte verifiche tese a garantire la sicurezza di tutti i presenti negli edifici spingendosi a richiedere più di quanto indicato dalle linee guida ministeriali e delle istituzioni locali. A tratti sembravano dimenticare che la scuola serve per produrre conoscenza per chi la frequenta e non per dare lavoro a chi insegna o la gestisce.
Diverso l’atteggiamento con cui hanno affrontato il “che fare” per la riapertura i rappresentanti dei lavoratori della cooperativa. Grande attenzione all’applicazione delle linee guida, ma anche una forte disponibilità a impegnarsi direttamente per fare tutti i servizi necessari pur di tornare a lavorare in sede.
Il vecchio Marx sosteneva che “sono le condizioni materiali che in ultima analisi determinano la coscienza sociale”. In questo caso ha molte ragioni a sostegno della sua filosofia. I due atteggiamenti diversi affondano le radici nel modo profondamente diverso con cui i due gruppi di lavoratori hanno trovato sostegno nell’affrontare le crisi di questi mesi.
I dipendenti pubblici non hanno avuto nessuna diminuzione di reddito e, per quanto riguarda i lavoratori non insegnanti, hanno passato a casa lunghi periodi senza alcun onere lavorativo. I dipendenti della cooperativa sono stati messi in cassa integrazione per i periodi di sospensione del servizio, hanno avuto lo stipendio decurtato del 40-45% e hanno aspettato da due a cinque mesi per incassare il dovuto dall’Inps. È evidente che di fronte alla possibilità di riprendere il lavoro e tornare al 100% di reddito mensile (che è comunque inferiore a quello dei loro colleghi della Pa) sono disposti ad accollarsi anche compiti non usuali, determinati dalla particolare condizione di questo periodo.
Questa lunga premessa è solo per introdurre il fatto che il 9 dicembre è indetto uno sciopero dei dipendenti pubblici, cioè la protesta del gruppo di lavoratori più tutelati del nostro esempio.
L’azione della pandemia da Covid ha avuto in molti settori effetti asimmetrici e ha messo in rilievo come le tutele del lavoro sono ancora fortemente diversificate. Fra gruppi di lavoratori a piena tutela e chi ne ha poche o addirittura è a zero, la crisi ha colpito molto di più chi è poco tutelato. Ciò sta creando tensioni sociali crescenti. Insicurezza, frustrazione e rabbia sono sentimenti sempre più percepibili di fronte al prolungarsi di periodi di sospensione delle normali attività lavorative.
La pur giusta esigenza dei lavoratori della Pubblica amministrazione di arrivare al rinnovo del contratto nazionale (ma perché le istituzioni arrivano sempre con tanto ritardo alle scadenze dei patti che prendono con i cittadini?) ormai scaduto da tempo, non potrà non misurarsi sulle forme di lotta con cui porre, in questa particolare situazione sociale, il tema alla controparte.
Già l’idea dello sciopero in smart working da parte della categoria che meno è riuscita a dare prova di produttività con il lavoro a distanza fa sorridere e crea disagio. Certo non produce consenso fra gli altri cittadini che hanno subito un taglio nei servizi assicurati dalla Pa, oltre ai disagi che hanno avuto nel loro lavoro e sui loro redditi.
Il messaggio che è arrivato al grande pubblico è che una parte importante di lavoratori che hanno avuto le maggiori tutele in questo periodo pesante per tutti pensano che sia possibile scioperare come se si fosse in una situazione normale. Nella piattaforma contrattuale sono indicati molti temi importanti. Il messaggio dato dallo sciopero riduce però tutto all’aumento salariale richiesto.
Sarebbe stato diverso se si fosse fatto emergere il tema della digitalizzazione come passaggio indispensabile per fare un salto di modernizzazione ai servizi pubblici. È questa la strada indispensabile per avere una moderna organizzazione del lavoro nella Pa attraverso cui arrivare anche a un’organizzazione del lavoro capace di premiare di più chi lo merita, aumentare la presenza di professionisti di buon livello formativo, ma soprattutto operare un salto nella produttività.
Questo obiettivo non è importante solo per migliorare l’efficienza della Pa. Sarebbe stato un messaggio importante per far capire che ci si pone il problema di migliorare la capacità di dare servizi ai cittadini e migliorare la possibilità di operare una drastica semplificazione di ancora troppi oneri burocratici che pesano sulla nostra vita quotidiana e sull’economia del Paese. Se questo voleva e poteva essere il messaggio c’è ancora tempo (lo sciopero, come detto, è previsto per il 9 dicembre) per cambiare idea.
Lo sciopero non è l’unica forma di lotta possibile e in questo frangente diventa controproducente. Si dia il via a una “gara” per individuare nuove iniziative di mobilitazione che tengano conto dell’insieme dei sentimenti del Paese per portare tutti a condividere una nuova Pa, sia per chi ci lavora, sia per chi ne ha bisogno per lavorare.