Per una volta ad astenersi dalle udienze non sono gli avvocati (spesso tacciati ingiustamente di essere i responsabili dei rinvii delle udienze e dell’infinita durata dei processi), ma i magistrati. Protestano contro la riforma dell’ordinamento giudiziario in approvazione al Senato.

Non è in discussione il diritto dei giudici a scioperare (è una facoltà riconosciuta a tutti i lavoratori), ma sono i tempi e le ragioni della protesta che non convincono.



La riforma è già stata votata dalla Camera e urge approvare, come più volte richiesto dal Presidente della Repubblica, la riforma delle elezioni del Csm. Se il Senato, che intende aspettare l’esito dei referendum prima di iniziare l’esame nella discussione in aula, dovesse modificare il testo di qualche articolo della legge, la riforma dovrebbe tornare all’esame dell’altro ramo del Parlamento con inevitabili ritardi per la sua approvazione definitiva: tutta fa pensare, quindi, che sia troppo tardi per invocare modifiche al testo in approvazione. Le manifestazioni di protesta proclamate dall’Anm sono quindi tardive. Ma sono anche ingiustificate. Sono due le ragioni principali delle lamentele dei giudici.



La prima è il rafforzamento della separazione delle funzioni. Oggi i magistrati possono cambiare funzione quattro volte in carriera (cosa che, peraltro, occorre riconoscere, accade già ora statisticamente assai di rado). Con la riforma il passaggio da Pm a giudice (o viceversa) potrà avvenire una sola volta. Si dice da parte dell’Anm che è il primo passo verso la separazione delle carriere (non prevista dalla Costituzione) e che si impedisce ai Pm di consolidare la cultura della giurisdizione.

Non è vero che la riforma introduce una separazione delle carriere camuffata. La separazione delle carriere è tutta un’altra cosa: nessuna possibilità di passare da un lavoro all’altro, creazione di due diversi organi di autogoverno, giudici e Pm non sarebbero più colleghi come continua ad essere ora). Quanto alla cultura della giurisdizione, è esperienza comune che i Pm si limitano a sostenere l’accusa, non si occupano in genere di raccogliere le prove a favore della difesa e, per definizione, solo ai giudici, terzi e imparziali, è demandata ogni valutazione finale sulla responsabilità degli imputati.



L’altro motivo di dissenso è la creazione del fascicolo delle performance (finalizzato alla valutazione di professionalità) che dovrà ora contenere la storia complessiva dell’attività del magistrato, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, anche in relazione all’esito degli atti e provvedimenti nelle fasi successive dei procedimenti.

Anche qui il dissenso espresso dall’Anm sembra essere ingiustificato: il fascicolo formato con le relazioni dei capi dell’ufficio, le statistiche, i provvedimenti assunti dal magistrato esiste già oggi, solo che contiene provvedimenti estratti a campione. La riforma tende solo ad avere un quadro più completo ed analitico dell’attività del magistrato, ma solo al fine di rilevare eventuali “gravi anomalie” anche in relazione all’esito della sua attività (chiedo ed ottengo 150 mandati di cattura e subito dopo ne vengono annullati 100 dal Tribunale della libertà). Cosa c’è di scorretto e inopportuno?

L’Anm dice di scioperare anche perché non coinvolta nella redazione della riforma e nelle scelte operate da esecutivo e parlamento, ma il sottosegretario Sisto ha replicato in numerose interviste di avere avuto, durante l’elaborazione della legge, numerose interlocuzioni (almeno sette contatti) con la magistratura. Anche questo motivo di dissenso è quindi infondato.

Ma allora quali sono le buone ragioni che giustificano questa clamorosa protesta? Forse non ci sono: ed è per questo che alcuni magistrati hanno annunciato che non aderiranno alla protesta, che avrà comunque anche risvolti positivi. In tutti i tribunali le udienze saranno sospese, ma si terranno assemblee a cui i magistrati hanno invitato anche avvocati e professori per confrontarsi su una riforma che appare però essere già stata decisa. Referendum permettendo.

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