Ha suscitato una farisaica sorpresa che nell’ultimo concorso in magistratura il 95% dei partecipanti non abbia superato l’esame. Ovviamente la colpa è stata data alla severità della prova ed è venuta avanti la richiesta di renderla meno difficile. Nei giorni precedenti eravamo stati presi in contropiede da un’altra notizia: una quota importante degli studenti quindicenni non sono in grado di comprendere il testo che leggono. Non deve sorprendere, quindi, che con questi inizi si arrivi alla fine del periodo di apprendimento e formazione di fronte a un ostacolo invalicabile dove vi sia una resa dei conti per tutte le “uscite di sicurezza” che hanno consentito allo studente di conseguire una laurea. 



Non risulta che queste problematiche siano state al centro dello sciopero generale del personale della scuola svoltosi ieri con tanto di manifestazione in piazza Santi Apostoli (gli informati di cose sindacali sanno che quella è la piazza in cui vengono convocate le manifestazioni poco numerose, perché la struttura del sito fornisce la percezione di una partecipazione più numerosa di quella effettiva). Alcuni mesi or sono toccò agli studenti contestare l’ordinanza del ministro Patrizio Bianchi riguardante gli esami di maturità di quest’anno nella quale erano previste due prove scritte. Le motivazioni non erano del tutto infondate in quanto chiamavano in causa la mancata continuità dell’attività didattica durante la pandemia. Le stesse obiezioni degli studenti furono condivise dai componenti del Consiglio superiore della pubblica istruzione (CSPI), il quale dopo oltre sei ore di discussione invitò (con parere consultivo) il ministro Bianchi a modificare nella sostanza l’ordinanza ripristinando il maxicolloquio solo orale alle medie e rinunciando alla seconda prova alla maturità, predisposta dalle singole commissioni d’esame. 



I sindacati presero – come si dice – la palla al balzo, come sempre perseguendo quel “meglio” che è nemico del “bene”. La Flc-Cgil in una nota, chiese, infatti, che gli esami fossero “coerenti con i percorsi didattici degli alunni fortemente segnati dalle difficoltà della pandemia”. In modo particolare fu richiamata l’attenzione sulla problematicità di una seconda prova scritta di indirizzo alle superiori che, proprio perché proposta in sede di istituto, rischiava di non mantenere le caratteristiche nazionali mentre poteva essere sostituita da un colloquio ritagliato sui veri contenuti svolti nelle scuole, peraltro in maniera disomogenea fra territorio e territorio, a seconda dell’andamento della pandemia. 



Nessuno si prese la briga di spiegare perché mai una verifica sui programmi attuati nelle diverse realtà non potesse essere compiuta per iscritto, ma solo oralmente. Negli istituti superiori era diventato un problema mettere per iscritto ciò che si è recepito in DaD? Oppure per gli studenti di oggi è diventato complicato scrivere tout court All’esame di maturità, nel lontano 1960, fui chiamato a sostenere i seguenti esami scritti: italiano, dal latino all’italiano, dall’italiano al latino, dal greco all’italiano, matematica. Agli orali portai tutto il programma dei tre anni di liceo. La mia fortuna fu che avevo ripetuto la seconda liceo e pertanto non ebbi particolari problemi nel ripassare il programma. 

Tornando allo sciopero di ieri erano in campo tutte le sigle sindacali confederali e autonome, tutte contrarie ai provvedimenti assunti dal ministro Patrizio Bianchi. Tutte meno l’associazione dei presidi (Anp). «Il ritornello è il solito: stabilizzare i precari, non considerando per nulla il diritto degli alunni ad avere insegnanti migliori, più preparati, più aggiornati», ha osservato Cristina Costarelli di Anp Lazio. «E si vuole evidentemente la distribuzione a pioggia di soldi per tutti. Non si vuol sentire parlare di merito e differenziazioni. Più soldi per tutti ha un sapore populista senza utilizzare gli aumenti per restituire efficienza e premialità», le ha fatto eco Mario Rusconi di Anp Roma. 

Nel corso della manifestazione il leader della Cgil, col suo approccio profetico/ecumenico, ha evocato il “diritto alla scuola e alla conoscenza”, proprio nel momento in cui i titolari – gli studenti – ne venivano privati non solo in quel giorno, ma anche in prospettiva. Al centro della protesta c’è sicuramente la questione del rinnovo contrattuale che – come ha voluto precisare il ministro Bianchi – è in corso d’opera: “Il contratto è partito, abbiamo consegnato l’atto di indirizzo da tempo, il ministero dell’Economia lo ha restituito dopo averlo verificato e la contrattazione è partita. È previsto un intervento significativo per i docenti, probabilmente non sufficiente per il sindacato, ma noi abbiamo aggiunto 300 milioni per poter remunerare quelle attività specifiche”.

Ma Landini ha certificato che gli stipendi degli insegnanti sono troppo bassi. E Landini – direbbe Marc’Antonio – è un uomo d’onore. Ma perché non considerare anche le considerazioni meritocratiche esposte dai presidi? La logica del “todos caballeros” resta dominante nel mondo sindacale della scuola: guai a meccanismi retributivi che premiano il merito o che incentivano la produttività; vade retro all’autonomia scolastica; assunzione dei precari senza troppi riguardi nella selezione. 

E siamo giunti al problema del reclutamento, uno degli altri motivi dello sciopero. Quest’ultimo aspetto si collega alla c.d. mobilità degli insegnanti titolari di cattedra. Quelle disponibili – per ragioni evidenti – non possono essere sempre a pochi km da casa; anzi, in prevalenza sono nelle regioni del Nord, mentre gli insegnanti che le hanno “vinte” sono al Sud. È umanamente comprensibile che sia complicato trasferirsi; ma non si può pretendere che siano i ragazzi a farlo. Succede allora – con l’appoggio del sindacato – che si trovino tutti i pretesti per non spostarsi (un parente da assistere ex legge n.104, la malattia, i figli minori, ecc.) fino a quando termina il periodo obbligatorio di mobilità. E si può rientrare. Così, al Nord i dirigenti scolastici devono trovare dei supplenti, per i quali, negli anni dopo, i sindacati chiedono una sanatoria per la stabilizzazione.

 Tutto questo accade sotto i nostri occhi: ma il diplomificio deve andare avanti, anche se l’Invalsi ha certificato tracce diffuse di analfabetismo tra i giovani, soprattutto dopo ben due anni di scuole chiuse. Ma come la mettiamo con la DaD? Come compensiamo questo impegno profuso dagli insegnanti? Ecco, poiché l’insegnamento a distanza è venuto avanti a macchie di leopardo per merito di dirigenti e insegnanti disponibili a effettuare quell’esperienza in modo volontario, spesso con i propri mezzi, si giustificherebbero emolumenti premiali per quanti si sono prestati alla DaD nell’interesse degli studenti. Appare invece assurdo riconoscere a un’intera categoria i meriti di pochi. Poi, ci sarà qualcuno che si è chiesto – ogni qualvolta i sindacati rivendicano una stabilizzazione dei precari (abbiamo spiegato in precedenza come funziona la fabbrica del precariato nella scuola) – dove siano finite quelle decine di migliaia di insegnanti assunti negli anni precedenti. Sembrerebbe che il mondo della scuola non sia toccato dal fenomeno della denatalità; ormai il saldo è negativo anche includendo i nati da famiglie straniere residenti. 

A questo proposito il ministro Bianchi ha tirato un sasso in piccionaia: “Non solo non c’è intenzione di fare dei tagli, ma di fronte alla riduzione prevista di bambini” che “dal 2021 al 2032 saranno 1 milione e 400mila in meno in classe, con le vecchie regole voleva dire 130mila insegnanti in meno mentre noi non interveniamo su questo. Noi fino al 2026 lasciamo totalmente inalterato il numero degli insegnanti proprio per poter ridurre la numerosità delle classi, ma dall’altra parte tutte le risorse che emergono, anche in presenza di 1,4 milioni di bambini in meno rimangono nella scuola”. E la prospettiva? “Col Pnrr – ha aggiunto il ministro – arriveranno 17,5 miliardi nelle scuole: 10 miliardi in infrastrutture, 2 nel digitale e 5 per la qualità della didattica, 1,5 per intervenire sulle differenze territoriali. Una tale cifra per la scuola non si è mai vista”.

Come al solito si è aperta la guerra sui dati della partecipazione allo sciopero. Per il ministero ha aderito il 12% del personale. Per i sindacati si è trattato di un significativo successo. 

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