PROSEGUE LO SCIOPERO AD OLTRANZA NELLE FABBRICHE VOLKSWAGEN IN GERMANIA: COSA CHIEDONO LAVORATORI E SINDACATI

Lo sciopero dei lavoratori di Volkswagen cominciato ieri in tutti gli stabilimenti presenti in Germania è e resterà ad oltranza fino almeno al nuovo ciclo di trattative fra sindacati e dirigenza del marchio automotive più famoso e potente d’Europa: dopo il fallimento completo dei tavoli che da mesi provano a mediare la decisione dell’azienda di chiudere tre stabilimenti dal 2025, con tagli e licenziamenti pesantissimi, la fiumana di gente portati in piazza dal sindacato IG Metall ha fatto spaventare l’economia dell’auto di tutto il Vecchio Continente, compresa l’Italia che vive e molto dell’indotto sulle componenti auto di Volkswagen.



9 fabbriche in sciopero con la produzione di auto e componenti dunque completamente bloccate è il risultato dello scontro totale tra dirigenza, sindacati e politica, in una Germania che non a caso vive la crisi di Governo nel momento più buio dell’economia tedesca dalla grave crisi economica del 2011. Molti convergono verso la sede centrale di Wolfsburg, ma i raduni davanti alle fabbriche di Hannover, Brunswick e Emden sono comunque molto significativi per uno sciopero generale dai tratti ben più “ingenti” di quelli visti anche di recente in Italia. I sindacati tedeschi hanno minacciato lo sciopero ad oltranza anche ben oltre le 24 ore se dovessero arenarsi i negoziati su salari e licenziamenti dei prossimi giorni: «Quanto a lungo e quanto intenso dovrà essere questo confronto è responsabilità di Volkswagen al tavolo delle trattative», così denuncia il leader del sindacato più rappresentativo dei metalmeccanici in Germania, Thorsten Groeger (IG Metall).



La linea di Volkswagen, dopo gli annunci choc degli scorsi mesi sulle chiusure e i tagli dei posti di lavoro, è quella di mantenere una linea di dialogo negoziale minimizzando però l’impatto sui clienti e partner industriali: «l’azienda ha già adottato in anticipo misure specifiche per garantire forniture di emergenza». Al netto degli interventi in extremis, la crisi c’è ed è palese, con migliaia di operai in piazza che chiedono lo stop ai tagli stipendio e un cordone di emergenza per evitare la massificazione dei licenziamenti previsti nel piano di riduzione dei costi. Il tema dell’elettrico è preponderante e viene visto dai sindacati come un errore madornale non solo di Volkswagen ma dell’intero automotive europeo, nonché delle norme sul Green Deeal della (tedesca) Presidente Ue Von der Leyen.



LA CRISI DELL’AUTO IN UE E IL CAOS IN GERMANIA: QUALI SCENARI SI APRONO ORA

Il gruppo che comprende oltre alla marca Volkswagen anche Porsche, Audi e Seat, è da anni in crisi e da qui la riduzione dei costi annunciata si è concretizzata con l’ennesimo trimestre di calo nelle vendite, unite alle incertezze per la vicina scadenza 2035 sullo stop ai motori endotermici. Per la pasionaria sindacalista di fabbrica Daniela Cavallo, esiste il rischio concreto che si possa arrivare a chiudere del tutto gli stabilimenti fino a che Volkswagen non presenta un piano convincente.

Il consiglio di fabbrica, assieme alla IG Metall, chiedono che il gruppo tagli i bonus per i dirigenti e il resto del personale, bloccando gli aumenti di stipendi in futuro in cambio di orari di lavoro più brevi: il risparmio da circa 1,5 miliardi di euro presentato dai sindacati non ha però convinto Volkswagen che ritiene sul lungo periodo non possa avere un vero impatto per parare la crisi. Dei 300mila dipendenti è circa un terzo che rischia seriamente un ridimensionamento, se non proprio il licenziamento con 3 delle fabbriche che andranno a chiudersi nei prossimi mesi: il calo della domanda nei consumatori, il costo per la transizione verso l’elettrico (che non decolla) e la fortissima concorrenza con la Cina rendono la crisi di Volkswagen di difficile soluzione, così come per gli stessi motivi anche la italo-francese-americana Stellantis vive momento simile di caos. Le dimissioni di Tavares e le richieste del Governo italiano al gruppo guidato da John Elkann rendono la crisi del settore molto simile per certi versi a quanto si osserva con Volkswagen in Germania.

Va però aggiunta la crisi di Governo Scholz che porterà il Paese alle Elezioni in febbraio proprio a fronte di una crisi economica, industriale e lavorativa imponente: all’esecutivo “semaforo” di Centrosinistra non viene perdonata la gestione insufficiente sulla crisi Volkswagen che rischia ora di avere effetti devastanti in piena campagna elettorale verso il voto di fine febbraio. Va letto con quest’ottica il provvedimento studiato in queste ore dal PPE, guidato dal tedesco Manfred Weber, sull’anticipare già al 2025 la revisione netta delle misure europee sull’auto: la mossa (probabilmente tardiva) di Weber e Von der Leyen è quella di ridurre l’impatto del Green Deal a fronte della crisi del settore automotive, riflettendo «sul principio di neutralità tecnologica». Occorre una transizione più lunga, che stoppi i divieti dal 2035 e che porti ad un mix di tecnologie e non alla “talebanità” del solo elettrico che rischia di portare ulteriori vantaggi alla Cina, affossando una delle industrie storicamente più importanti d’Europa.