Ho passato diverse ore a leggere i vari articoli apparsi su Internet e i tantissimi post dei Social; a riflettere su quanto scritto subito dopo i primi disordini a Napoli e quanto avvenuto dopo. Tanti articoli, di tanti giornali e giornalisti, e tanti post, in primis su Twitter, di tante persone famose o meno. E più leggevo e più sorgevano domande, invece di risposte o chiarimenti.
Soprattutto, da subito, i pensieri e le riflessioni si sono spostati “dal merito dei fatti” – ovvero dalle azioni di De Luca prima e della politica più in generale poi – a come i fatti fossero rappresentati e giudicati.
Insomma, più leggevo e più aumentava l’amaro in bocca: la sensazione che restava era che, anche mettendo insieme tutte le informazioni, mancasse sempre un pezzo del puzzle per comprendere cosa fosse accaduto. Diventava difficile farsi un idea sul perché e sul come, e ti ritrovavi con le tante teorie e i tanti giudizi personali, ma dei fatti e della loro storiografia nulla.
Di queste riflessioni vorrei condividere in particolare tre spunti, legati principalmente alle notizie e giudizi apparsi nelle prime ore e nei giorni seguenti agli scontri di Via Santa Lucia a Napoli.
Primo elemento di riflessione.
In tutti i titoli o sottotitoli, anche se poi smentito nel testo stesso, si dipingeva la protesta e la violenza della città. Dentro i testi trovavi di tutto – chi parlava delle migliaia di manifestanti, chi di gruppi di un centinaio di persone staccatesi dal corteo, ma il leit-motiv era sempre la città violenta, Napoli, come se non avesse la varietà e la ricchezza di quasi un milione di abitanti. Una narrazione molto differente da quella a cui siamo abituati su Milano (difficile che si dica “Milano”, ma si parla di “quelli” dei centri sociali, del Leoncavallo, o simili) oppure su Roma (non si parla di “Roma”, ma di “quelli” di Forza Nuova, degli afferenti ai Casamonica, etc). Ed un focus nettamente differente da quello dei giorni successivi, quando a Torino si distruggevano vetrine.
Secondo elemento di riflessione.
Dalle letture veniva fuori una città dove non può esserci riscatto, men che meno un economia viva o pezzi di società che, pur nelle difficoltà e complessità esistenti, tentino di intraprendere un’azione costruttiva. E così viene dato per assunto, ad esempio, che tutta l’economia legata al turismo e attività simili, “tirata su” in questi anni da tanti piccoli ristoratori e albergatori, o semplici famiglie impegnatesi nel B&B, sia per forza espressione della criminalità organizzata. E quindi con mia sorpresa dovrei prender atto che il mio amico Antonio, venuto dal nostro piccolo comune a Napoli per aprire un ristorantino molto apprezzato vicino a Santa Chiara, o l’amico Diego, con la sua bottega artigianale, o i tanti altri, per forza devono esser legati alla criminalità. E se quella sera protestavano, anche se non coi facinorosi, erano comunque collusi e comunque partecipanti agli scontri (anche se ad onor del vero alcuni da subito hanno parlato di proteste civili dei ristoratori, svoltesi in luoghi e tempi diversi da quelli della violenza).
Ultimo elemento di riflessione.
Per l’informazione che punta alla pancia e non alla mente dei lettori – così come quando si discute di migranti, calcio, la politica – la città di Napoli è un argomento che scatena interesse e contrapposizione, porta sempre e comunque a discutere sulle notizie, in positivo e negativo. Da una parte quelli del “tutto nero”, che dicono: “Vedi? I soliti napoletani”, “Sicuramente quello di buono fatto è effimero e gonfiato dai giornali o imposto dall’uomo forte e dalla repressione”. Poi ci sono i difensori a spada tratta, ovvero quelli del complotto, della certezza che giornali e persone del Nord agiscano e giudichino con pregiudizio. Poi quelli del disfattismo, che vedono sempre le solite cose, le solite questioni, il solito azzuffarsi per interessi di bottega, mentre nella realtà dei fatti nulla cambia e tutto resta immobile e paludoso. Infine quelli del “benaltrismo”: è chiaro ma abbiamo altro a cui pensare, i fatti veri sono altri, le persone vere della città sono altre.
In sostanza mi verrebbe da pensare che, anche alla luce di quanto è successo dopo e che sta montando in queste settimane, la narrazione della città violenta ha fatto notizia nell’immediato, ma forse non ha fatto cogliere quanto profonda fosse la ferita che si stava aprendo nella società tutta e come questa si stesse allargando a tutta l’Italia.