Tafferugli a Roma nella piazza davanti a Montecitorio, dove sono stati lanciati fumogeni e bottiglie. La polizia ha contenuto i manifestanti, che protestavano al grido di “libertà, libertà”, chiedendo a gran voce di poter riaprire e lavorare. Feriti due poliziotti e alcuni manifestanti, tra cui ci sono stati anche dei fermati. Tensione pure a Milano, dove si è formato un piccolo corteo. Ma da Imperia a Foggia si sono registrate in tutta Italia proteste di ristoratori e commercianti ambulanti, che si considerano “gli unici ancora chiusi” dopo più di un anno di pandemia.
Le manifestazioni sono state indette contro le ordinanze che stabilivano le zone rosse. Ma perché si è arrivati a questo punto? C’è il rischio che si scatenino altre proteste? Che cosa si può concretamente fare per dare risposta a questo grido disperato? “Lo Stato ha dimostrato di non poter garantire a queste categorie i ristori che servirebbero per non dover fallire – risponde Augusto Patrignani, presidente della Confcommercio della provincia di Forlì-Cesena -, l’unica alternativa oggi è dare loro la possibilità di riaprire e lavorare, ovviamente in sicurezza, come già fanno i supermercati e le attività necessarie”.
Che cosa ha spinto queste categorie a simile proteste? Sono ormai allo stremo?
Sono allo stremo perché da un anno ormai sono chiusi, al massimo mezzi aperti. Le partite Iva in Italia non sono garantite. Commercianti e ristoratori sono quelli che devono tirare su ogni mattina la serranda e lavorare, il 27 del mese non gli arriva lo stipendio. Anzi, sono quelli che pagano lo stipendio ai garantiti, perché sono le imprese, le attività imprenditoriali a pagarli. Non ci possono essere i garantiti e i non garantiti.
E’ vero che nessuno li ha finora ascoltati?
Noi come organizzazioni sindacali li abbiamo sempre ascoltati e stiamo cercando continuamente di far capire a chi ci governa che il loro lamento è vero, concreto. Hanno bisogno di lavorare, ovviamente garantendo la massima sicurezza possibile: come lavorano i supermercati o le attività necessarie, possono lavorare bene anche ristoranti, bar e commercianti. Non si capisce perché debbano continuare a stare chiusi.
Che cosa si può fare per tradurre in un provvedimento le loro istanze? Queste categorie vogliono solo aprire e lavorare: bisogna aspettare le zone gialle o si possono pensare altre soluzioni?
Per farli riaprire e lavorare bisogna indicare quali sono le misure di sicurezza da rispettare, misure che tra l’altro erano state già individuate in precedenti protocolli. Bisogna, per esempio, specificare tutte le precauzioni che vanno messe in atto per lavorare in sicurezza: se bisogna tenere un metro o due di distanza tra le persone, se sono obbligatori i gel disinfettanti, se bisogna indossare la mascherina.
Nelle proteste in varie piazze d’Italia in molti hanno gridato che si sentono abbandonati dallo Stato. Eppure nell’ultimo anno, prima il governo Conte e poi quello attuale, hanno messo in campo diversi decreti ristori. Non sono serviti?
Si è visto poco e in molti casi niente. Quel poco che si vede sono briciole rispetto ai costi che un’azienda deve affrontare.
Non c’è quindi solo il mancato reddito?
Purtroppo no. Se uno ha un ristorante in affitto, in alcune città d’Italia si arriva a pagare fino a 8-10mila euro al mese, poi c’è la Tari – e nessuno fa lo sconto perché l’attività è chiusa – e le bollette, che arrivano comunque. Cosa se ne fa di mille euro al mese di bonus pandemia? Non riesce neppure ad accendere la luce.
C’è un’alternativa ai ristori?
Siccome lo Stato ha dimostrato di non poter garantire loro i ristori che servirebbero per non dover fallire, pagando loro tutti i costi, l’unica alternativa è il “vaccino dell’economia”: farli lavorare al più presto in sicurezza, perché la salute è un bene importante per tutti, anche per gli imprenditori.
La soluzione potrebbe essere quella di ripristinare subito i vecchi protocolli, aggiornandoli alla nuova situazione epidemiologica?
Se i virologi ritengono necessari altri accorgimenti per difendere la salute, a noi va bene, non siamo certo contrari, ma si dia la possibilità a ristoratori e commercianti di tornare a riaprire. Altrimenti subentra la disperazione, che purtroppo potrebbe poi sfociare in atti illegali che non sono certo auspicabili né da compiere.
“Il tempo della pazienza è finito”: la protesta può dilagare e degenerare?
Mi auguro di no e noi non siamo per cavalcare le proteste o per andare contro la legge. Ma è chiaro che quando si portano alla fame più categorie, c’è chi potrebbe anche perdere la testa. Bisogna assolutamente evitare che questo accada.
(Marco Biscella)
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