Nel volgere di poche settimane lo scenario dei rapporti fra magistratura e politica è completamente mutato, secondo alcuni in modo irreversibile. Solo poche settimane fa, era la fine di settembre, la maggioranza palesava non poche spaccature sulla giustizia: Forza Italia si lamentava che le leggi su prescrizione e intercettazioni fossero sparite dai radar dei lavori parlamentari ed in effetti la premier sembrava davvero nutrire dubbi sulle proposte più garantiste degli alleati, speranzosa, grazie al lavoro sotterraneo di Mantovano, di poter trovare un punto di equilibrio con la magistratura, sostenendo provvedimenti notoriamente invisi ai magistrati.
La vicenda delle mancate convalide relative alla permanenza dei migranti in Albania ha fatto saltare il banco, tranciando ogni mediazione in corso: il livello dello scontro è progressivamente salito fino a trovare l’apice con l’inappropriato intervento di Elon Musk. Sin troppo evidente che si sia scivolati verso la guerra totale, con il Presidente della Repubblica, capo anche del Csm, chiamato a una mediazione sempre più difficile ma al contempo sempre più necessaria. L’effetto di tutto ciò è che la magistratura, che pure era all’angolo, accompagnata da un calo dei consensi di significative proporzioni, ha ripreso fiato, suscitando reazioni di solidarietà dei cittadini moderati di ambo gli schieramenti che non hanno certo apprezzato la dichiarazione dell’uomo più ricco del pianeta. La sensazione è tuttavia che lo scontro sia destinato ad alimentarsi, facendo così crescere il rischio di un cortocircuito le cui conseguenze potrebbero essere nefaste per il Paese.
Diciamo la verità: si fa fatica ora a non dar ragione ai magistrati, mai, giova ricordarlo, troppo ben vezzeggiati da queste colonne. Caricare il clima generale rischia di farli passare dalla parte della ragione: con alcuni provvedimenti che non sono piaciuti al Governo sono tornati a vestire la “toga rossa” come neanche ai tempi del Cavaliere, che inevitabilmente ora inizia a essere rimpianto. È legittimo che il presidente dell’Anm chieda al ministro Salvini cosa ci sia di inadeguato in un provvedimento che chiede alla Corte di Giustizia della Ue una pronuncia sulla conformità di una legge. Non si può dubitare che il magistrato non debba cooperare con il governo, quanto piuttosto far rispettare i diritti e le garanzie delle persone, anche di quelle che rappresentano una minoranza come i migranti. Sicuramente ci sono stati e ci sono tutt’ora magistrati “con la bandiera rossa in camera o in ufficio”, come afferma Salvini, ma il qualunquismo che sta dilagando non appare meno pericoloso, poiché di fatto veicola il messaggio che per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi, il Paese stia diventando insicuro. Lecito allora chiedersi se la presidente del Consiglio sia così sicura di aver adottato la giusta strategia.
Mettiamo in fila quanto accaduto negli ultimi giorni per provare a dare una risposta.
Oltre la polemica sul fronte dei migranti, il presidente della Corte dei Conti ha gridato forte le sue preoccupazioni in merito ai minor controlli e al tetto alle sanzioni che la riforma proposta dal Governo conterrebbe, emanando fra l’altro un parere di 35 pagine dai toni durissimi per riaprire una vecchia contesa con il centrodestra: il tiro alla fune sui controlli delle gare per mettere a terra i fondi del Recovery Ue.
Anche l’avvocatura storce il naso: la scorsa settimana, infatti, l’Unione delle Camere Penali si è astenuta dalle attività processuali per protestare contro il ddl Sicurezza, in solidarietà contro gli attacchi della maggioranza al tribunale di Bologna per il ricorso sulla questione migranti. Un vero miracolo, ricompattare il mondo della giustizia; magistratura e avvocatura, che mai si sono amati, sono finite sullo stesso fronte, spalla a spalla. Il presidente dei penalisti, Francesco Petrelli, ha teso platealmente la mano ai giudici, affermando che il tribunale di Bologna si sia mosso con particolare prudenza e con correttezza giurisprudenziale, sicché è francamente impossibile cogliere in quella scelta un attacco alla politica.
Ancora: negli stessi giorni, è emerso che una norma del ddl Sicurezza – già approvato alla Camera, ora all’esame del Senato – consente agli organi dei Servizi segreti di accedere al lavoro di tutte le pubbliche amministrazioni, anche agli atti coperti da riservatezza, e fra gli uffici destinatari del provvedimento ci sono anche le procure. Il timore, denunciato per prima da Ilaria Cucchi, è che i Servizi – che dipendono dal governo – possano accedere al loro lavoro, anche a indagini in corso, non tanto per ragioni di sicurezza nazionale quanto per controllare i pm.
La sensazione è che il Governo e la maggioranza abbiano deciso di provare l’all-in e non a caso: mentre è fallito per il secondo anno consecutivo il tentativo del ministero della Giustizia di predisporre l’applicativo che dovrebbe attuare l’obbligatorietà del processo telematico per tutto il penale, è stata prontamente rilanciata la riforma per la separazione delle carriere dei magistrati e sull’Atto di indirizzo con cui si vogliono stabilire a quali tipologie di reato le procure dovranno dare priorità nella loro azione.
E che dire inoltre dell’incontro a Palazzo Chigi della presidente del Consiglio col vicepresidente dell’organo di autogoverno della magistratura, di cui pare che solo all’ultimo momento sia stato avvertito il Capo dello Stato (che del Csm è il presidente). È un gesto-bandiera. È forte il dubbio che la Meloni abbia discusso degli equilibri interni al Consiglio e alla sua sezione disciplinare, provando a capire quale sia il peso che esercitano le “toghe rosse” all’interno del plenum, ovvero quale capacità hanno di aggregare intorno a sé. E non a caso, poco dopo, sono usciti allo scoperto 14 togati del Csm per diffondere un documento con il quale chiedono a Pinelli di essere resi edotti dei contenuti del faccia a faccia. Si stanno palesemente schierando le truppe.
Così alla visita di Pinelli alla premier ha fatto da contraltare un incontro dal valore simbolico non meno eclatante: l’Anm si è infatti riunita presso la sede della Direzione nazionale antimafia, ufficialmente per discutere di organizzazione degli uffici, ma inevitabilmente la mossa è apparsa ai più come volta ad organizzare la resistenza. Subito dopo, dal Csm qualche consigliere, compreso l’unico indipendente non eletto dalle correnti, ha storto il naso, mugugnando per l’invasione di campo, assumendo che sul tema dichiaratamente oggetto dell’incontro esiste un’apposita Commissione di Palazzo Bachelet.
Da ultimo, le consigliere laiche del Csm, Isabella Bertolini della Lega e Claudia Eccher di FdI, hanno chiesto l’apertura di una pratica alla prima Commissione del Csm che ha competenze sui trasferimenti per incompatibilità ambientali e alla Procura generale della Cassazione affinché siano valutati eventuali profili disciplinari a carico del segretario di Magistratura Democratica, Stefano Musolino. Le due consigliere citano la partecipazione di Musolino come relatore ad un evento dell’associazione “No Ponte”, “avente una spiccata connotazione anti-governativa, riguardante – tra gli altri argomenti – il ddl sicurezza”, riportando sue “affermazioni di tipo politico”, che “rappresentano una violazione dei principi costituzionali di imparzialità e di indipendenza che secondo la Costituzione tutti i magistrati devono osservare”.
Insomma, che il clima si sia troppo surriscaldato appare evidente anche ai più distratti osservatori, come emerge inconfutabilmente da un’intervista rilasciato da un magistrato in cui egli ha affermato che “se la Premier vuole la pace, parli con l’Anm”. Che due poteri apicali del Paese siano apertamente in guerra al punto che l’uno dica all’altro cosa bisogna fare per porvi rimedio non può far stare sereni.
Purtroppo, il piano dello scontro è politico e ciò rende definitivamente inconfutabile che in Italia la separazione dei poteri è in frantumi, sicché risulta estremamente urgente concepire un nuovo modello repubblicano pronto ad emergere dalle rovine delle strutture democratiche drammaticamente al collasso. Nel frattempo, si salvi chi può.
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