È la prima manovra economica del Governo Draghi e deve necessariamente essere coordinata con vincoli e obiettivi indicati nel Pnrr. La situazione economica si presenta come migliore rispetto alle stesse aspettative che vi erano a inizio d’anno. La crescita del Pil indica che la struttura industriale ha una capacità di rilancio maggiore di quanto avveniva prima della crisi pandemica. Rimangono, però, settori economici che sono ancora lontani dai risultati del periodo precedente e, soprattutto, non possiamo pensare di trascurare la situazione del nostro indebitamento.



I risultati positivi dati dalla crescita del Pil di questo periodo aiutano e permettono di liberare risorse dal bilancio per supportare la crescita, ma non possiamo immaginare di tornare definitivamente ad aumentare il deficit per coprirlo con la crescita. Anzi, è questa l’occasione per affrontare alcuni squilibri strutturali e mutare la composizione della spesa adeguandola ai cambiamenti sociali avvenuti.



Proprio per queste ragioni, l’aspettativa del Paese era che da parte delle forze sociali venissero stimoli a una collaborazione decisa per definire obiettivi condivisi per il futuro in un quadro di responsabilità altrettanto condivise. Molti si aspettavano una proposta di “Patto per lo sviluppo e il lavoro”, un’iniziativa promossa dalle forze sindacali che richiamasse l’esperienza del periodo post-bellico ossia un vero progetto di ricostruzione perché la cesura del lockdown ha accelerato processi di trasformazione del lavoro che richiedono un cambiamento profondo nelle forme e negli strumenti di tutela.



È tutto il sistema di welfare che essendo storicamente basato sul percorso lavorativo della persona va ridisegnato. Il rischio emerso con forza in questi mesi è che il modello attuale lasci senza tutele un numero sempre maggiore di lavoratori creando un solco sempre più ampio fra generazioni.

È certamente prioritario sviluppare e rafforzare la rete di servizi del workfare. La grande transizione indotta da digitalizzazione e sviluppo sostenibile richiede un sistema di servizi al lavoro e modelli di formazione, per occupati e non, in grado di prendersi in carico tutti i lavoratori coinvolti dai cambiamenti dei sistemi produttivi.

Insieme a questi interventi prioritari devono essere rivisti gli strumenti messi in campo contro la povertà. Quanto introdotto nel nostro Paese con il Reddito di cittadinanza si sta dimostrando poco efficace. Copre poco chi ha più bisogno e sta allargandosi a coprire fasce sociali che non dovrebbero averne diritto. Soprattutto se gli interventi contro la povertà devono essere misurati per la capacità di cambiare la situazione dei beneficiari quanto fatto finora in Italia è assolutamente in deficit di risultati.

È in questo quadro di interventi complessivi sul welfare che anche il sistema pensionistico deve trovare un suo equilibrio. La scadenza a fine dicembre dell’esperienza a tempo di Quota 100 obbliga a fare una scelta.

I risultati di questi anni dicono che anche questa misura non ha prodotto i risultati desiderati. Se doveva servire a liberare posti per fare entrare giovani al lavoro ciò non è successo. Ha portato ad anticipare l’uscita dal lavoro soprattutto di dipendenti pubblici e scarse sono state le richieste di dipendenti con lavori pesanti.

La proposta del Governo di passare per altre due quote nei prossimi anni è comprensibile solo perché attenua il ritorno alla strada maestra. È in sé il metodo delle quote che però non funziona bene. Se scivoli e flessibilità vanno introdotti devono rispondere a esigenze di categorie specifiche o essere compatibili con i costi di sistema. Anche uscite anticipate cui segue comunque un’attività lavorativa (da prendere in considerazione se il percorso occupazionale sarà sempre più spezzettato) non possono essere vietate o troppo penalizzate. Ma non può passare da qui una scelta che porta a ridiscutere la compatibilità complessiva del sistema trovata con l’ultima riforma.

In ogni caso è evidente che introdurre nuovi costi sul sistema pensionistico attuale vuol sottrarre risorse al sistema futuro. Se il termine sostenibilità ha senso anche in termini sociali si sta chiedendo un intervento non sostenibile perché carica sui giovani il costo dei prepensionamenti attuali.

Ha perciò stupito che all’incontro con il Governo le organizzazioni sindacali si siano presentate chiedendo una riforma (in realtà una controriforma) che rivedesse complessivamente il sistema pensionistico. Richiesta che non può stare dentro questa proposta di bilancio e che avrebbe contraddetto più di un impegno preso con l’Europa per sostenere il Pnrr. L’impressione che si ricava dalle dichiarazioni è che in assenza di un giudizio comune sugli obiettivi da perseguire si sia scelto di guardare al passato.

La conferma indiretta viene dalle dichiarazioni fatte a commento della rottura avvenuta che hanno fatto riferimento a tematiche economiche diverse. La rottura sarebbe sulle pensioni, ma i rilievi sono sul lavoro dignitoso, i contratti a termine che caratterizzano questa ripresa delle assunzioni o il ritardo con cui si arriva alla riforma degli ammortizzatori.

Su questa base sarà difficile scrivere anche la piattaforma unitaria con cui chiamare a manifestare. Sarebbe più facile scriverne una per chiamare alla mobilitazione i giovani per chiedere un welfare sostenibile. Ma questo vorrebbe dire accettare la svolta richiesta dal Governo Draghi e dal presidente della Repubblica. Adesso è l’epoca dei costruttori e quindi bisogna avere un’idea di futuro e non rimanere legati al passato.

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