Anche nel giorno delle celebrazioni del 25 aprile, sul caso Siri i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno continuato a darsele, verbalmente, di santa ragione. E il braccio di ferro è destinato a continuare almeno fino a lunedì, quando il premier Conte rientrerà dal suo viaggio in Cina. Poi cosa succederà? Sarà rottura o i due troveranno una ricomposizione? E quali ripercussioni ci saranno sul governo? “Sono proprio curioso di vedere come andrà a finire – osserva Mario Sechi, titolare di List -. Certo è che come esperimento politico questo metodo di governo ha chiuso. Il che non toglie che Lega e M5s potrebbero andare avanti 5 anni, perché il tema è sempre quello: qual è l’alternativa? Ma dal punto di vista del contenuto politico, della programmazione, è un governo che mostra la corda. E’ fallito. Se non riesce mai a trovare la sintesi e vive in questo continuo tira-e-molla, con Consigli dei ministri che diventano dei vaudeville di teatro dell’assurdo, allora è meglio andare a votare”.



Salvini continua a difendere a spada tratta Siri, Di Maio lo attacca frontalmente, chiedendone a gran voce le dimissioni. Chi dei due trae più vantaggio da questo braccio di ferro?

Nessuno dei due. Però Salvini ha ragione.

Perché?

In primo luogo, perché Siri è solo un presunto colpevole. In secondo luogo, perché la notizia pubblicata da La Verità, cioè che non esiste l’intercettazione, è abbastanza strana. E last but not least, l’elemento più importante: se si dimette Siri, deve dimettersi la Raggi. Non esiste il grado di colpevolezza presunta, per cui le cose di cui è accusato Siri sarebbero più gravi di quelle per cui la Raggi è sotto processo. E’ squilibrata tutta l’idea che uno deve dimettersi perché è stato inquisito: uno si dimette quando viene condannato.



La politica però dovrebbe prevenire, non crede?

Vero, però di questo passo non c’è classe politica che tenga, come abbiamo già visto in altre occasioni. Se su Siri c’è il fumus della colpevolezza, sarà lo stesso Salvini a capirlo. Non c’è bisogno di forzare la mano come stanno facendo i Cinquestelle. E lo fanno per una questione elettorale.

Di Maio infatti è tornato a brandire la questione morale. E’ una carta elettorale che può funzionare?

No, perché loro sono al governo e la storia d’Italia insegna che quando governi puoi essere oggetto di continue indagini. E quindi alla fine potrebbero essere colpiti loro.

Salvini si trova oggi a un bivio come Di Maio davanti alla vicenda Diciotti?

Per Salvini è legittimo cambiare idea, soprattutto in politica. Però sarebbe sorprendente per me che Salvini cambiasse idea, sacrificando Siri: vorrebbe dire che c’è qualcosa. Salvini è uno che su questi princìpi tiene duro. Se Salvini crede nell’innocenza di Siri e Siri ha ottimi argomenti personali per sostenerlo, come fa Salvini a sacrificare un suo uomo? Non esiste un capo che molla un suo uomo. Sarebbe fuori dagli schemi. E’ tuttavia anche vero che in un braccio di ferro tutto può succedere.

Il braccio di ferro su Siri è destinato a durare finché Conte non rientrerà dal suo viaggio in Cina. E’ possibile che alla fine i duellanti trovino una ricomposizione?

Conte ha dimostrato di saper coniugare l’impossibile. Però non può fare come sul salva-Roma, quando ha stralciato le due parti. Siri non si può dividere in due… Sono curioso di vedere come finirà questa storia. Il fatto comunque di aver delegato Conte vuol dire che vogliono uscirne in qualche maniera. Ognuno, in apparenza, tiene il punto, ma poi ci deve essere un momento di sintesi. Questa cosa non sta in piedi dal punto di vista politico. Cioè i governi non cadono per queste vicende, cadono per ragioni politiche di fondo.

E in questo caso quali potrebbero essere?

L’inconciliabilità delle visioni del mondo: l’industria, l’innovazione, il fisco. E soprattutto la modalità con cui governano, a compartimenti stagni. Io mi approvo il reddito di cittadinanza, io mi approvo la quota 100, io mi approvo quello che sarà, così però nessuna approvazione è collegiale. Non c’è una visione comune. E questo li condanna, a mio parere, a non proseguire insieme. Ma li condanna anche alla teoria del “prigioniero libero”: liberi di governare così, ma prigionieri del fatto che non possono liberarsi l’uno dell’altro perché non c’è un’alternativa.

Dopo le europee, viste le scintille degli ultimi tempi, ciascuno presenterà il conto all’altro?

Nella Prima Repubblica, persino quando c’erano le litigiose maggioranze di pentapartito, queste situazioni si risolvevano con un certo savoir faire politico, cioè con un bel rimpasto, serio, di governo, che riequilibrava le cose. E poi c’era il manuale Cencelli che funzionava per tutto.

Oggi?

Se questi cercano di fare un riequilibrio, rischiano di produrre un altro patatrac. E per il M5s c’è anche un problema di personale: chi mettono?

Quindi l’esperienza di governo è destinata a continuare?

Mettiamo che decidano in tal senso, ma un tagliando va comunque fatto. O meglio, la prima cosa da riscrivere sarebbe il contratto di governo, che non regge più. Per una semplice ragione: un governo deve sempre adattarsi alla storia. Quel contratto, fatto nel giugno del 2018 quando c’era un altro mondo, non regge più alla prova del 2019 e chissà cosa sarà dopo il voto delle europee e nel 2020 quando ci saranno le presidenziali Usa. Ci sono sullo sfondo eventi, a partire dalla Brexit, che scompaginano tutto. Mi sembra una stupidaggine il non rivedere il contratto. Ammesso sempre che il governo sopravviva a questi shock.

Si possono avvicinare le elezioni anticipate?

Quelle sono sempre in agguato. Fin dal primo giorno in cui è stato siglato il contratto tra Di Maio e Salvini: un esperimento per me necessario, ma dalla durata assolutamente imprevedibile. Dopo le europee potrebbe anche esserci una convenienza, calcolata, di Salvini e forse anche dei Cinquestelle di andare alle elezioni.

E dove starebbe la convenienza del M5s, dato in forte calo nei sondaggi?

I Cinquestelle potrebbero avere l’interesse di andare al voto anticipato per evitare il takeover totale di Salvini su quell’elettorato, euroscettico, sovranista, tutto law and order. Potrebbero decidere di pagare dazio, raccogliendo un consenso basso, ma poi andare a Palazzo Chigi attraverso un’alleanza con il Pd. Il quale ha un’unica carta da giocare: spaccare l’alleanza di governo e poi ingaggiare i Cinquestelle. A quel punto potrebbero avere la maggioranza, comunque risicatissima.

E Mattarella? Che segnali arrivano dal Quirinale?

A Mattarella interessa solo una cosa: la stabilità. Andare alle elezioni per qualunque presidente della Repubblica è un trauma, per Mattarella ancora di più, perché è dotato di prudenza elevata al cubo. Ma se si rompe l’alleanza, Mattarella potrebbe favorire il voto anticipato, perché è un segreto di Pulcinella che al Quirinale l’anno scorso preferissero un’alleanza Pd-M5s. C’è però un’incognita: che cosa succederà ai nostri conti pubblici.

In che senso?

Può entrare in campo la variabile che, assieme al ruolo della magistratura e allo stallo istituzionale, è stata la costante delle nostre crisi ricorrenti, dal 1992 a oggi: la delicata situazione finanziaria dell’Italia a causa del debito pubblico. A quel punto, a ottobre, noi dovremmo fare una manovra che tenga bassi i tassi d’interesse, altrimenti entreremmo in quella che si chiama la trappola del debito: alti tassi e strangolamento dei conti pubblici, in un circolo vizioso tremendo. In quel caso anche un governo d’emergenza, se Lega e M5s non fanno niente, diventa plausibile.

Governo d’emergenza con Draghi, che si libera della poltrona alla Bce?

E’ uno scenario per ora sullo sfondo, ma ancora teorico. Draghi però è l’uomo giusto. La domanda è sempre quella: ma chi lo vota? E’ anche vero che le crisi si sa sempre come cominciano, ma non come si srotolano e si arrotolano nello stesso tempo. E’ una partita a scacchi e bisognerà vedere come decidono di giocarla i mercati.

Secondo lei, l’esperimento del governo giallo-verde è comunque al capolinea?

Come esperimento politico ha chiuso, non è un metodo di governo valido. Questo non toglie che potrebbero andare avanti 5 anni, perché il tema è sempre quello: qual è l’alternativa? Ma dal punto di vista del contenuto politico, della programmazione, è un governo che mostra la corda. E’ fallito. Se il governo non trova mai la sintesi e vive in questo continuo tira-e-molla, con Consigli dei ministri che diventano dei vaudeville di teatro dell’assurdo, allora è meglio andare a votare.

(Marco Biscella)