Alla fine il matrimonio si spaccherà, formalmente reggerà almeno fino a quando i beni in comune di Carlo e Matteo non saranno al sicuro come in ogni matrimonio che si rispetti. Attorno a loro iniziano a rumoreggiare i tifosi e gli interessati. I primi sono i meno pericolosi, alla fine si adatteranno a qualunque soluzione. I secondi, quelli che fomentano per interesse, sono di certo i più pericolosi ed attivi.
Venuti da Forza Italia o dal Pd con l’idea di spaccare il mondo, si trovano relegati in un contenitore ancora incerto e, soprattutto, lontano dalle luci della ribalta. Il duo Matteo-Carlo li ha tenuti a bada, ma non appena il neodirettore Renzi ha lasciato intendere che il campo era parzialmente libero, immediatamente è partito l’assalto a Carlo. Senza l’uno, l’altro si elide. Quindi spazio ai nuovi.
Questa, almeno, la tentazione che alcuni in Italia Viva covano. Certi che Silvio sia, come minimo, fuori uso, vogliono guidare l’assalto a quel consenso con un ruolo da protagonista. La Carfagna, che conosce bene quel mondo, sa che a breve si aprirà la successione e vuole giocarsela avendo il pallino in mano.
Del resto, che la nuova creatura liberal-democratica voluta da Calenda e Renzi non sia gran che sul piano elettorale è chiaro a tutti. Quindi meglio prepararsi. O la leadership (con addio al Calenda sempre presente) o pronti a uscire dal progetto per accasarsi altrove.
Questo, per capirci, non è uno scontro tra due inconciliabili caratteri forti ed egotici. È il preludio al riassetto del centro politico, quell’area in cui da Tajani a Base riformista del Pd tutti guardano come un territorio di caccia in cui addentrarsi ben attrezzati.
Insomma, ora che il gioco si fa duro, e la successione a Berlusconi diventa materia viva, le fibrillazioni aumentano, le voglie di leadership si mostrano nella loro naturale essenza di scontro fratricida per poter governare quell’area (o almeno avere l’ambizione di farlo).
Renzi a Calenda pare non abbiano compreso che ora più che mai sarebbero costretti a stare assieme per non disperdere quel (poco) che hanno. Dividersi, farsi la guerra, scindersi prima di fondersi, vuol dire perdere il vantaggio tattico e strategico che hanno oggi. Non che sia una posizione di dominio assoluto, ma ricominciare da zero, senza denari e senza la forza dei gruppi alla Camera ed al Senato, aprirebbe ad una diaspora dal duo dei leader di centro e, a breve, il loro completo eclissarsi.
In fondo, dovrebbero oggi stare assieme più di prima, se volessero costruire davvero una posizione di centro solida e credibile. L’alternativa che hanno davanti è che ciascuno provi a dialogare con il lato dello schieramento che trova più omogeneo, divenendo, nella sostanza, ininfluenti. Proveranno a rincorrere gli orfani di Berlusconi, proveranno a legittimare le loro identità singole, ci proveranno, ma senza una visione strategica forte e senza la voglia di attraversare il deserto dei bassi consensi (come fece la Meloni), in attesa di crescere nel tempo, dimostrano che il loro connubio era fragile. Non un matrimonio fatto di valori comuni, ma un accordo matrimoniale bastato su egoismi di breve periodo. Se così era, è durato fin troppo.
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