Come non poteva essere altrimenti, in una Camera semivuota, venerdì, a conclusione di una settimana ancora una volta tormentata, è andata in scena la grande frenata. Crosetto, come Nordio nell’audizione al Csm del giorno prima, ha cercato di gettare acqua sul fuoco, precisando che non voleva attaccare la magistratura e mai lo farà, auspicando che prima o poi lo scontro tra politica e magistratura dovrà finire. In realtà, sotto la cenere continuano ad ardere i tizzoni e, come si era paventato da queste pagine, lo scontro, ahinoi, è destinato a rinfocolare. Molti gli spunti su cui riflettere.
In primo luogo, Crosetto non ha chiarito chi gli avrebbe detto di guardarsi le spalle e stare attento a non fare la stessa fine di Craxi, ma si è limitato, citando il segretario di Magistratura democratica, ad affermare che la magistratura non deve limitare l’esercizio della volontà popolare, dovendosi prima o poi raggiungere un definitivo riequilibrio fra giustizia e politica.
In realtà, diciamolo francamente, ambo le parti non fanno poi tanto per il raggiungimento di tale scopo. Il fatto stesso che un’ipotesi come quella ventilata dal ministro della Difesa non appaia inverosimile, non rassicura; d’altronde le parole del ministro incarnano il sentimento di oltre la metà degli italiani, i quali – come sostiene un sondaggio pubblicato ieri dal Corriere della Sera – diffidano della magistratura. Le rassicurazioni fornite da Crosetto appaiono pertanto un mero gesto di facciata, finalizzato a non alzare oltre la tensione.
Al tempo stesso anche il ministro della Giustizia, parlando giovedì per la prima volta al Csm, ha affermato tra l’altro che mai e poi mai si potrebbe ipotizzare la soggezione del pm all’esecutivo. Tuttavia, lo stesso Nordio aveva ricordato il giorno prima come si tenda a dimenticare il fatto che una buona parte dei cittadini avverta ancora un certo disagio per quanto emerso dal caso Palamara: il contenuto delle sue chat e delle intercettazioni è una ferita ancora aperta, poiché da lì in poi si è compreso che quello che lo riguardava non era l’unico episodio dell’uso strumentale dell’autogoverno della magistratura. È proprio questo l’aspetto che non va trascurato; ha ragione quindi il ministro quando ricorda che molte conversazioni non sono mai state trascritte e che ci sono tante cose su cui bisogna ancora fare chiarezza.
Se quella di Crosetto è stata una uscita improvvida, dall’altra parte la magistratura sembra non aver ancora saputo elaborare gli scandali che l’hanno attraversata e che hanno stracciato quell’alone di purezza risalente all’onda popolare che aveva accompagnato l’inchiesta “Mani pulite”.
Siamo ancora, tristemente, fermi lì. È fin troppo ovvio ribadire come della contrapposizione tra politica e magistratura il Paese non avverta certo il bisogno, perché essa finisce solo con l’inquinare il confronto che invece sarebbe necessario stabilire con un’unica finalità: affrontare il merito delle proposte per arrivare a modifiche utili a rendere efficiente un sistema che arranca.
Preoccupa tuttavia anche l’atteggiamento del Governo: in tema di giustizia è oramai diffusa la percezione che si stia facendo il contrario rispetto ai principi che Nordio enunciava prima di diventare ministro. Ora come ora, anche per gli addetti ai lavori è complicato avere chiara l’idea di quale sia la concreta riforma della giustizia che il Governo sta portando avanti: l’impressione è che al suo interno l’esecutivo non goda di un vero accordo, come dimostra la questione della separazione delle carriere, che come un pendolo appare e scompare dall’elenco delle priorità. Regna una sensazione di confusione, come anche dimostra la proposta dell’introduzione dei test psico-attitudinali.
Non di meno, qualunque concreta iniziativa arrivi a compimento, desta levate di scudi. Il giudizio sui parametri relativi all’esercizio della funzione giurisdizionale, le cosiddette pagelle, introdotte dal precedente governo, ha finalmente visto la luce e subito forti sono state le levate di scudi. Introdotte allo scopo di verificare il mantenimento di uno standard di equilibrio, di laboriosità e di capacità, il decreto che le ha regolate ha anche allargato le maglie rispetto alle prime ipotizzate versioni, ma ciò non è bastato a calmare gli animi sostenendo che i giudizi piuttosto che migliorare la qualità del servizio e la professionalità del magistrato, rischiano di rendere il magistrato più timido e conformista, più attento ai numeri e alla statistica. Nessuna autocritica, di contro, sulla sostanziale irresponsabilità di cui la categoria gode, come dimostra l’1% delle valutazioni negative di progressione di carriere formulate dal Csm.
Anche sul fronte della modifica della prescrizione si levano squilli di tromba. Con un documento inviato al Guardasigilli e ai presidenti delle due commissioni Giustizia di Senato e Camera, i 26 presidenti delle Corti d’Appello italiane denunciano i rischi della nuova norma sulla prescrizione, annunciando “un’imminente” catastrofe. Il fulcro della doglianza è la necessità che la nuova versione della prescrizione, di cui pure ci siamo già occupati in queste pagine, costringerà le Corti d’Appello a riaprire migliaia di fascicoli per ricalcolare la prescrizione di ogni singolo processo. L’analisi, per carità, sarà anche condivisibile, ma i toni appaiono un po’ troppo allarmistici. Condivisibile anche la richiesta di una specifica disciplina transitoria dei processi di impugnazione pendenti, ma di certo non si può non ritenere che l’attuale assetto dell’istituto, frutto di stratificazioni oggetto di evidenti torsioni sistematiche, doveva essere rivisto.
Insomma, occorre che cambi il clima e che le parti in causano facciamo uno sforzo non di facciata ma di sostanza. Leggere ogni mossa e ogni proposta dell’altro in termini di aggressione o rappresaglia serve solo a intossicare ancora di più un clima già poco respirabile e a rendere più complicati gli interventi necessari per far funzionare una macchina ingolfata.
Restituire credibilità alla magistratura agli occhi dei cittadini non è superfluo in un Paese democratico, ma la magistratura non sembra aver ancora fatto i conti con sé stessa: non basta che il giudice sia imparziale, è necessario anche che il cittadino possa riconoscere quell’imparzialità. Al contempo, una politica seria, oltre a rivendicare il suo ruolo, deve saper proporre una chiara linea di condotta, palesando idee chiare, senza oscillazioni e senza – troppi – compromessi al ribasso e soprattutto senza urlare alla luna.
La speranza è l’ultima a morire.
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