Separazione delle carriere e intercettazioni. Sono queste le ragioni dello scontro tra magistratura e politica. “Ma poiché su questo piano il motivo sfuggirebbe all’opinione pubblica, allora i magistrati lo hanno spostato a livello dei politici”, Delmastro e Santanchè, spiega Gaetano Pecorella, avvocato penalista, presidente dell’Unione delle camere penali per due mandati e deputato per quattro legislature, nelle file di FI e del Pdl. Pecorella, che per formazione culturale e ideologica proviene dalla sinistra, è stato avvocato difensore di Berlusconi.



L’Anm, secondo il penalista, vuol delegittimare il Governo, ma l’Esecutivo è solido, perché le inchieste non sono finalizzate a screditare esponenti politici, come è successo con Berlusconi, ma hanno carattere meramente strumentale.

Sul Corriere, Mieli dice di sapere come andrà a finire: qualche altra iniziativa giudiziaria, la politica nel panico, un rimpasto di governo, l’offensiva dei mercati, la sfiducia, l’ennesimo governo tecnico. È questo il destino del Governo Meloni?



Non credo, perché i tempi non sono più quelli di Berlusconi. Il capo del Governo non ha procedimenti, le persone colpite sino a questo momento sono escluse da processi infamanti. La questione del figlio di La Russa è un problema a parte.

Anche le dichiarazioni del padre, “l’ho interrogato, non c’è nulla di rilevante”?

È un intervento infelice, che va messo in conto nel momento in cui il Paese vota e accetta che diventi presidente del Senato chi ha in casa qualche decina di busti di Mussolini. Ma non saranno parole del genere a stravolgere il quadro.

Partiamo dalla Santanchè.

Un processo per bancarotta è praticamente cosa di tutti i giorni. Se ci sarà bancarotta, la Santanché sarà giudicata colpevole, viceversa risulterà innocente. Può dirlo solo il processo.



L’opposizione ha chiesto le dimissioni.

Vige la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, come per tutti i cittadini italiani. Se ne dovrebbe riparlare solo dopo la sentenza definitiva.

Il caso Delmastro?

Nessun scandalo se un giudice per le indagini preliminari impone al publico ministero la contestazione coatta del reato. L’unico modo per garantire l’obbligatorietà dell’azione penale è quello di sottoporre a un giudice l’esistenza o meno delle condizioni per l’archiviazione.

Da via Arenula fanno trapelare che l’imputazione coatta “dimostra l’irrazionalità del nostro sistema”.

No, o si cambia l’obbligatorietà, oppure una verifica sulla corretta rinuncia all’esercizio dell’azione penale va fatta.

Dunque il Governo non deve temere?

Direi di no. Fino ad oggi non sono state diffuse intercettazioni o telefonate finalizzate a minare la credibilità delle persone coinvolte o dotate di rilievo nell’ambito dell’inchiesta in corso.

Pensa ai processi di Berlusconi?

Sì, e vedo una grossa differenza. Quello che ha minato la credibilità di Berlusconi non sono stati i processi, che riguardavano questioni di natura strettamente tecnica, è stato l’utilizzo di elementi raccolti facendo le indagini, ma che nulla avevano a che fare con le indagini, come le intercettazioni telefoniche o altre testimonianze, per poter colpire la credibilità della persona. Oggi è molto diverso.

Però c’è il problema dell’informazione di garanzia.

L’informazione di garanzia, da provvedimento a tutela dell’indagato, è diventata una sentenza di condanna. E questo è assolutamente scorretto.

Lo scontro si è alzato di livello dopo la nota di Chigi – “lecito domandarsi se una fascia della magistratura (…) abbia deciso di inaugurare anzitempo la campagna per le elezioni europee” – e la replica dell’Anm, “accuse che colpiscono il cuore della magistratura”.

Questo il punto: il problema vero sono le riforme, non le vicende processuali di Delmastro e Santanchè. L’Anm vuol delegittimare il Governo perché si propone di fare riforme garantiste, in particolare la separazione delle carriere. Ma poiché su questo piano il motivo dello scontro sfuggirebbe all’opinione pubblica, allora i magistrati lo hanno spostato a livello dei politici.

Bene dunque le riforme che vuol fare il Governo?

Sì, perché tolgono potere ai pubblici ministeri.

Come?

Con l’abuso d’ufficio (la riforma lo cancella, ndr) i pm entrano nella pubblica amministrazione per andare a vedere cosa si fa nel pubblico, sperando di trovare corruzione e concussione.

La separazione delle carriere?

I pm diventerebbero finalmente parte, e questo non gli sta bene perché oggi il pm è in una posizione istituzionale più elevata del giudice. I giudici hanno paura dei pm: se un pm scrive una notizia di reato a carico di un giudice, mette fine alla sua carriera.

Le intercettazioni?

Senza poter divulgare le intercettazioni che non sono rilevanti per il processo ma che intaccano la credibilità personale, perderebbero un importante strumento di pressione nei confronti della politica.

Non crede che la modifica nel 1993 sotto l’urto di Tangentopoli dell’articolo 68 Cost. (immunità parlamentare) sia la causa di tutti i problemi?

È stato un grande errore storico. Se fosse stato ancora in vigore l’articolo 68 nella versione di allora, molte vicende non sarebbero accadute. Ma è stato anche un gravissimo errore di prospettiva politica.

In che senso?

La politica ha dato più potere ai magistrati credendo di avere con essi un rapporto più felice, non conflittuale, invece è stato l’opposto. Cambiando l’art. 68 i politici si sono messi a torso nudo davanti ai pm, dicendo: ecco, sparateci nel petto.

Ripristinare il vecchio articolo 68 è irrealistico?

Mi pare improponibile: chi fa questa proposta si candida a perdere una buona percentuale di voti. Per fare certe leggi o si è in dittatura, o ci vuole un consenso granitico. Maggioranza più opposizione.

Ma perché sarebbe un boomerang?

Perché nonostante tutto ancora oggi si crede che i politici rubino, o gestiscano i soldi soltanto nel proprio interesse. E quindi dire che la magistratura non può indagare i politici senza prima il consenso del Parlamento, è come dire: vedete? ci proteggiamo tra noi per continuare a rubare.

Secondo Violante “la stortura democratica” viene dal fatto che la politica ha rinunciato alla propria sovranità in favore della magistratura. È avvenuto a partire dagli anni 80, quando la politica ha delegato alla magistratura “la stessa lotta al terrorismo, alla mafia, alla corruzione”. È d’accordo?

No, per due motivi. Il primo è che dando ai magistrati gli strumenti per combattere terrorismo, mafia e corruzione, la politica non ha rinunciato al proprio potere, ma fatto la parte che doveva fare. Il secondo è che quel compito spettava alla magistratura, non ad altri. Piuttosto, quello che ha giocato molto negativamente è aver pensato – vuoi per averlo sospettato, vuoi per averlo scoperto – che dietro al malaffare ci sia sempre una qualche presenza politica.

Ci spieghi meglio.

Prenda le rivelazioni di Palamara. Hanno fortemente degradato sia la politica che la magistratura, dimostrando che entrambe hanno lavorato a braccetto quando c’erano da spartirsi posizioni di potere.

Cioè il caso Palamara è la prova perfetta di questo connubio?

Certo. Politica e magistratura si accusano a vicenda, però si mettono d’accordo per nominare il procuratore capo di Roma o qualcun altro. Questo rende ancora più paradossale il conflitto: è lo scontro di due poteri che hanno entrambi le mani poco pulite, ma che in questo vanno d’accordo.

La soluzione sta nelle leggi o in una nuova moralità pubblica? 

Tutto contribuisce a fare di un Paese un Paese perbene o corrotto: i politici, le leggi, i cittadini, i magistrati. Sicuramente “Mani pulite” ha distrutto la politica e aperto la strada a una crisi che durerà a lungo.

(Federico Ferraù)

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