Il “Leaders’ Summit on Ukraine” è stato convocato per domani a Londra dal premier laburista britannico Keir Starmer di ritorno da una visita a Washington al presidente Donald Trump. Ma gli inviti sono partiti poche ore prima che nello Studio Ovale andasse in scena l’incendiario “live” fra lo stesso Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Il quale, secondo lo schema diplomatico messo a punto da Starmer, era atteso (e in teoria lo è ancora) domani come ospite d’onore a Londra in una cornice geopolitica che sembrava cominciare a prendere forma. È invece un fatto che ieri il primo accordo fra Washington e Kiev – sullo sfruttamento minerario dei giacimenti ucraini – non è stato concluso e pare quindi indebolita la premessa di un piano d’intervento europeo a garanzia della sicurezza in Ucraina, in vista di un possibile cessate il fuoco con la Russia.
Cosa accadrà ora dopo il clamoroso “clash” mediatico di ieri non è facile a dirsi. Un primo segnale – poco incoraggiante – è venuto in tempo reale dal presidente francese Emmanuel Macron, che ha accentuato la sua postura anti-Trump, preannunciando – a nome della Ue – una contro-raffica di dazi in caso di conferma delle mosse protezionistiche profilate dalla Casa Bianca contro l’Europa.
La costruzione diplomatica del summit di Londra resta nel frattempo un autonomo fatto compiuto, rilevante e interessante in sé per il turbolento presente dell’Europa.
Il vertice ha infatti chiamato esclusivamente capi di Stato, di governo e di grandi istituzioni d’Europa, anche se la parola “Europa” nella sua insegna annunciata non c’è. E questo è già uno spunto di riflessione. Forse Downing Street ha voluto discretamente segnalare che dentro l’attuale Europa politico-istituzionale – la Ue – la Gran Bretagna ospite del vertice non c’è (e i laburisti sono subentrati da meno di un anno ai conservatori che hanno promosso Brexit nel 2016).
E poi non tutti i Paesi europei – e neppure tutti i 27 Paesi Ue – saranno rappresentati domani alla Lancaster House. A quanto è filtrato ieri da Londra, gli inviti principali sono stati indirizzati alle capitali di Germania (cancelliere uscente Olaf Scholz, socialdemocratico) Francia (presidente Emmanuel Macron, liberale) e Italia (premier Giorgia Meloni, conservatore) oltreché a Bruxelles (al presidente del Consiglio Ue, il socialista portoghese Antonio Costa; e alla leader della Commissione, la popolare tedesca Ursula von der Leyen). Convocato anche il segretario generale della Nato, l’ex premier liberale olandese Mark Rutte, ma dovrebbe intervenire anche Dick Schoof, premier tecnico del gabinetto di destra al potere all’Aja.
Sono attesi tutti i Paesi scandinavi: Svezia e Finlandia (Paesi Ue da poco entrati nella Nato, entrambi governati da moderati), Danimarca (socialdemocratica, “padrona” fra l’altro della Groenlandia) e Norvegia (fuori dalla Ue ma ex leader Nato con il laburista Jens Stoltenberg e grande produttore di petrolio e gas). Al tavolo si siederà anche il premier polacco, il popolare Donald Tusk, ex presidente del Consiglio Ue (il preavviso del summit è venuto da lui).
Al vertice dovrebbero prender parte anche i premier di Spagna, Repubblica Ceca e Romania (pur investita da una crisi politico-istituzionale interna) e il presidente turco Recep Erdogan (Ankara è membro Nato ed è da decenni “candidata congelata” all’ingresso nella Ue). È verosimile che vi sia questa presenza alla base dell’assenza della Grecia fra gli inviti comunicati.
Ai tre Paesi baltici sarebbe invece riservata solo una videoconferenza in mattinata, nonostante il “ministro degli esteri e della sicurezza” della Ue sia l’ex premier estone Kaja Kallas (però appena snobbata a Washington dal neo-segretario di Stato Marco Rubio).
Niente invito per l’Ungheria di Viktor Orbán, la Slovacchia di Robert Fico e la Bulgaria, tutti Paesi in crescente disallineamento con la Ue nel contrasto alla Russia putiniana. Nessun seggio riservato nemmeno a Vienna, dove una coalizione di partiti centristi sta tentando di evitare un governo con alla guida la destra di Herbert Kickl. Salvo contrordini domenica resterà a casa anche il neopremier belga Bart De Wever, leader di una formazione della destra fiamminga, pur essendo da sempre Bruxelles la casa della Ue.
L’ospite d’onore sarà ovviamente il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, reduce dal faccia a faccia di Washington con Trump. Quest’ultimo ha sempre escluso ogni minima possibilità che – una volta cessate le ostilità sul fronte russo – Kiev possa aderire alla Nato: un argomento in più nella posizione della Casa Bianca, orientata a una forza d’interposizione europea a garanzia dell’Ucraina, prodromica all’ingresso di Kiev nella “nuova Europa”.
La creazione e il finanziamento di un “esercito europeo” – inizialmente a protezione dell’Ucraina, in futuro dell’intera Europa – è il punto sostanziale all’ordine del giorno del summit. Di esso è però evidente il grande respiro strategico nell’avviare non solo il ridisegno delle politiche Ue, ma prevedibilmente la stessa struttura politico-economica e la ricollocazione globale dell’Europa.
Qualunque cosa significherà in un futuro più o meno prossimo, domani a Londra l’Europa inizierà a uscire dalla pelle confezionata dai Trattati di Maastricht del 1991, maturati nella nascita dell’euro e via via adattati nell’allargamento a Est. In attesa che nuovi modelli prendano forma, sembra comunque visibile da subito l’impatto su relazioni internazionali finora consolidate.
Alla premier italiana, Starmer riserverà domattina un bilaterale singolo, anche dopo lo scontro con Macron nell’ultimo Consiglio Ue. Meloni è stata fatta segno di attenzione specifica da Trump esattamente come il premier britannico (non così invece Macron, cui il candidato cancelliere tedesco Friederich Merz avrebbe peraltro affidato una sorta di delega in un viaggio-lampo a Parigi, poche ore dopo la vittoria elettorale).
Soprattutto: l’Italia ha appena firmato con Leonardo un’intesa strategica – alla pari – con la stessa Gran Bretagna e con il Giappone per un “Global Combat Air Programme” finalizzato a un generale ammodernamento delle flotte aeree militari.
È presto per dire se l’Italia stia ritrovando almeno un po’ di “par condicio” via via svanita da tempo rispetto a Francia e Germania fra i Paesi fondatori della Ue. Certamente il percorso di riavvicinamento della Gran Bretagna alla “nuova Europa” – che al momento Londra stessa preferisce non nominare – sembra prefissare Roma fra i suoi snodi intermedi, non solo Parigi e Berlino. Mentre il vento forte di Trump ed Elon Musk – avversari giurati di ogni tecno-burocrazia – sembra soffiare forte anche in direzione di Bruxelles.