Mischiavano sesso pedopornografico con Isis, Shoah, Mussolini e Hitler in una chat brutale. I video raccontavano immagini di violenza inaudita a sfondo sessuale, nazista e islamista. Gli amministratori del gruppo – il più “anziano” aveva compiuto da poco 19 anni e il più giovane ne aveva 15 – sono di Rivoli, un paesino alle porte di Torino, ma la chat di whatsapp portava quel materiale in giro per tutta Italia. Al momento sono indagati 25 ragazzi: 16 minorenni, tra i 13 e i 17 anni, e 9 maggiorenni tra 18 e 19 anni. Le indagini sono scattate grazie alle denuncia di una madre che aveva trovato nello smartphone del figlio 13enne i video pedopornografici.
Adesso però non diamo la colpa di questi orribili fatti a whatsapp; come per ogni social, whatsapp, adempiendo alla perfezione il suo compito di far comunicare le persone e quello che c’è nelle persone, se trova nelle persone immagini di orribili violenza, comunica e diffonde orribile violenza.
Il merito di aver fatto saltare in aria questo mostruoso marchingegno va alla madre che ha denunciato il proprio bambino (come si chiama un ragazzino di 13anni se non bambino?). Grazie a lei è partita l’indagine durata cinque mesi che ha portato i carabinieri in un’immaginabile abisso di degrado attraverso intercettazioni telematiche richieste e ottenute dalla Procura dei minori di Firenze. Perché i ragazzini invischiati in questa vicenda sono stati tanti: alcuni ne sono scappati ma nessuno ha denunciato. Solo quella madre. E quindi a lei, alla mitezza guerriera che solo una madre veramente innamorata del proprio figlio sa avere, dobbiamo rivolgere il nostro grazie.
Madri così non sono rare. In carcere mi capita di sentire racconti di giovani denunciati dai propri genitori e che sono addolorati ma grati per quella mano forte. Sono casi che riguardano la droga, soprattutto. Sui giornali leggiamo anche di vicende analoghe rispetto alla ‘ndrangheta e alla mafia.
Le donne di cui ho indiretta esperienza a Rebibbia denunciano figli maggiorenni e quindi imputabili, ed è chiaro che il 13enne figlio della madre che è andata dai carabinieri non lo era, ma quella donna ha comunque deciso di coinvolgere nel suo enorme problema le forze dell’ordine, i giudici, insomma le istituzioni. Con tutto il tremore che questo comporta. Solo un grande, enorme senso d’impotenza, unito a un profondo senso civico e, in fin dei conti, umano, ha potuto ottenere questo risultato.
Questa vicenda – un enorme massa di letame sulla quale spunta il candido fiore dell’amore di una madre – deve aprirci gli occhi non solo sugli abissi di male che ci possono essere nel cuore degli uomini anche quando giovanissimi, ma di come questo male devastante possa fermentare se “condito” dal potere dei social.
Quale madre, se scopre materiale pedopornografico nella chat del figlio, denuncia la vicenda ai carabinieri? Solo una donna che si rende conto delle enormi proporzioni del male e che si sente impotente. Ma che preferisce, a somiglianza della prostituta del giudizio di Re Salomone (1 Re 3,16-28), correre il rischio che il figlio viva lontano da lei piuttosto che vederlo morire. E così facendo ne salva tanti altri. Tutti quelli coinvolti in questo scempio e tutti quelli che avrebbero potuto caderci.