Alessandro D’Alatri, regista di successo che, tra le sue produzioni più recenti, vanta anche quella della fiction “Un professore“, terminata giovedì 16 dicembre su Rai Uno, dove ha riscosso un enorme successo di pubblico, si è raccontato sulle colonne de “Il Fatto Quotidiano” in edicola oggi. L’uomo ha raccontato di avere conosciuto il mondo del cinema come attore sin da bambino in maniere del tutto casuale: “Sono figlio di un operaio e di una contadina, persone totalmente digiune di spettacolo. Siccome ero molto timido, mamma mi iscrisse alla recita della scuola. Il pomeriggio della recita venne una signora impegnata con i casting, il giorno dopo ero già sul palcoscenico del teatro Valle (di Roma) per un’audizione con Luchino Visconti per ‘Il giardino dei ciliegi’; fui bravo e grazie a una battuta conquistai la prova costume”.



In tenera età scoprì il corpo femminile: “La mia prima tensione è arrivata con Lucilla Morlacchi, che poi, tranquillamente, si cambiava davanti a me e avevo appena otto anni. Vedevo le donne seminude ed è stato devastante. Era la scoperta del corpo femminile, non si vergognavano, i camerini erano aperti ed era un mondo libero”. Successivamente, “in ‘Come, quando e perché’, a 13 anni, ho vissuto il primo contatto con il nudo di una ragazza. Che era una tragedia, perché da quella sensazione erotica non sarei più uscito”.



ALESSANDRO D’ALATRI: “A OTTO ANNI PORTAVO A CASA UN REDDITO SUPERIORE A QUELLO DI MIO PADRE”

Sempre su “Il Fatto Quotidiano”, D’Alatri ha rivelato che a otto anni ha iniziato a pagare le tasse e a casa portava un reddito superiore a quello di suo padre, operaio alle officine centrali dell’Atac (i trasporti pubblici a Roma). Grazie ai suoi guadagni un giorno arrivò a casa un tecnico con un televisore, tempo dopo un frigorifero, l’automobile e le prime vacanze al mare. Per suo padre “questa situazione è stata un po’ frustrante; quando lavoravo, mamma era obbligata ad accompagnarmi, perché minorenne: giravamo l’Italia e il mondo e nel frattempo dovevo studiare, così viaggiavo con una specie di piccolo registro portabile che consegnavo in ogni scuola dove mi fermavo”.



Poi la conversione: da attore a regista. “Ma io tratto benissimo gli attori, perché provo affetto e stima; so cos’è l’ansia prima del ciak, o quella di quando sei in quinta e devi entrare in scena con il passo giusto. Conosco le debolezze e le paure. Conosco il prezzo alto che pagano per mantenere la popolarità e l’immagine. È anche la loro forza, per questo comprendo le contraddizioni e aggiungo: gli attori hanno una forte difficoltà nelle relazioni, è tutto alterato, sono costantemente fuori di casa, con una vita personale devastata”.