LA VIGNETTA SU HAMAS RIMOSSA DAL WP: “CI SIAMO SBAGLIATI”
Il Washington Post prima pubblica sul proprio sito web una vignetta molto aspra nei confronti di Hamas, poi passata qualche ora e diverse polemiche, la rimuove scusandosi con i lettori. Il nuovo caso di “autocensura” nei media mainstream occidentali è divenuto virale tanto in Israele quanto nel resto dell’Occidente, con la vignetta rimossa dal WP ovviamente condivisa da migliaia di account social.
Si tratta di un’immagine creata dal premio Pulitzer Michael Ramirez – intitolata “Scudi umani” – in cui la vignetta ritrae il dirigente di Hamas Moussa Abu Marzouk che aveva dichiarato negli scorsi giorni la sua organizzazione palestinese «non responsabile per la protezione dei civili di Gaza». L’immagine nella vignetta ritrae proprio Marzouk mentre accusa Israele e allo stesso tempo si lega addosso bambini e donne palestinesi usate appunto come scudi umani da Hamas. Il direttore delle pagine editoriali del Washington Post, David Shipley, ha spiegato in una nota pubblica i motivi per cui è stata poi cancellata dal sito: «Come redattore della sezione d’opinione, sono responsabile di ciò che appare nelle sue pagine e sui suoi schermi. La sezione dipende dal mio giudizio». Ebbene, la vignetta pubblicata da Michael Ramirez sulla guerra a Gaza, di cui Shipley ha approvato la pubblicazione, «è stata considerata razzista da molti lettori. Non era questo il mio intento. Ho visto il disegno come una caricatura di un individuo specifico, il portavoce di Hamas, che celebrava gli attacchi contro i civili disarmati in Israele».
RAMPINI DURISSIMO SULLA VIGNETTA “AUTOCENSURATA”: “USA VITTIMA DELL’IDEOLOGIA”
Insomma, la vignetta è stata rimossa per motivi di razzismo contro Hamas, o più in generale, contro l’Islam: a parte che appare molto difficile accumunare completamente l’organizzazione terroristica palestinese con una fede religiosa da oltre 1 miliardo di fedeli nel mondo, è l’opportunità di rimuovere un’immagine irriverente del genere che fa molto discutere e non solo negli States. «Con questo spirito abbiamo rimosso il disegno. Stiamo anche promuovendo una selezione di risposte alla caricatura. E continueremo a rendere la sezione sede di una serie di punti di vista e prospettive, comprese quelle che sfidano i lettori. Questo è lo spirito del giornalismo d’opinione, muoversi imperfettamente verso uno scambio di idee costruttivo a tutta la velocità possibile, ascoltando e imparando lungo il percorso», ha poi aggiunto ancora il redattore di opinioni del Washington Post, il cui editore va ricordato è Jeff Bezos (fondatore di Amazon).
Sul rapporto tra la stampa “liberal” e la “censura” sul tema razzismo ne scrive oggi Federico Rampini sul “Corriere della Sera” che non risparmia critiche feroci al quotidiano Usa: «Ora una parte di giornalisti americani abbandona i principi antichi della deontologia, vogliono che i media prendano posizione, che dipingano un mondo diviso tra buoni e cattivi. Israele e l’Occidente sono l’impero del male; gli altri sono vittime. La vicenda della vignetta si situa in questo contesto, le redazioni sono soggette ai diktat della parte militante». E così succede che l’autocensura sui crimini compiuti in nome dell’Islam – che nasce da lontano secondo Rampini – oggi arriva addirittura a scusarsi per avere “offeso” Hamas: Barack Obama durante la sua ultima campagna elettorale, in una cena per la raccolta di fondi a San Francisco, riporta il “Corriere”, ebbe parole sprezzanti verso gli elettori della destra, «bianchi pieni di amarezza e risentimento si aggrappano alle loro birre, ai loro fucili, alla loro Bibbia». Ebbene, denuncia Rampini, in quel caso Obama non è si autocensurato nel dileggiare cristiani bianchi americani: «Mai avrebbe osato pronunciare parole simili su chi si aggrappa al Corano». Si sostiene il politicamente corretto, si combatte il razzismo, si favoriscono sigle come il Black Lives Matter, e poi però ci si autocensura se si osa contestare Hamas islamica: questo è quanto sarebbe successo anche all’interno della redazione del Washington Post sul “caso-vignetta”.