Tra le numerose ricorrenze che il 2023 propone alla riflessione degli studiosi e degli esperti di questioni scolastiche (100 anni dalla riforma Gentile e dalla nascita di don Lorenzo Milani, 60 anni dall’avvio della scuola media unica e dai lavori della Commissione d’indagine sulla scuola, 50 anni dalla legge delega da cui scaturirono i decreti delegati) non può sfuggire una scadenza più ravvicinata, ma non meno importante e significativa delle altre: i dieci anni di vita del Sistema nazionale di valutazione (Snv) entrato in vigore con Decreto n. 80 del 23 marzo 2013.
Dieci anni di attività non consentono di formulare un giudizio critico approfonditamente motivato, ma già permettono di cogliere alcune linee di tendenza utili per delineare successivi sviluppi non solo nell’ambito dei processi valutativi strettamente intesi, ma più in generale in relazione degli obiettivi formativi ed educativi elaborati in sede di politica scolastica.
Vorrei sottolineare, in via preliminare, tre punti a favore del provvedimento adottato dieci anni fa. La prima considerazione è che l’avvio del Snv consentì finalmente di compiere un passaggio assai delicato e complesso, ma indispensabile dopo l’entrata in vigore della legge sull’autonomia del 1997, che si può così sintetizzare: come armonizzare l’autonomia dei singoli istituti e la necessità di tenere “sotto controllo” il funzionamento e l’efficacia dell’organizzazione scolastica nazionale. Una operazione che, sia detto incidentalmente, è prassi consolidata in tutti i Paesi del mondo occidentale, ma che da noi ha richiesto anni di pensamenti e ripensamenti.
La seconda osservazione riguarda lo sdoganamento nell’ambito scolastico dell’espressione “miglioramento” (in sostituzione della tradizionale nozione di “aggiornamento” del personale docente) concetto mutuato dalla cultura aziendale, ma curvato in relazione alle finalità specifiche della scuola. Come in tutte le organizzazioni, anche nelle scuole esistono risorse latenti e non, le quali, se opportunamente mobilizzate e ordinate, possono produrre un salto di qualità o una correzione di rotta: ad esempio per contrastare situazioni deficitarie, per valorizzare e prendere in prestito “buone pratiche” importate dall’esperienza altrui e, infine, per incrementare ulteriormente i buoni risultati già acquisiti.
La terza indicazione riguarda il rapporto miglioramento/cambiamento con la corretta impostazione della scansione pluriannuale dei processi di miglioramento. Il cambiamento non è un evento che può essere improvvisato, ha bisogno di tempo e del consolidamento di abitudini e consuetudini che accettano la sfida di non essere autoreferenziali.
L’impianto previsto dal Snv non ha avuto vita facile, ma ha fortunatamente resistito negli anni scorsi agli attacchi che gli sono stati portati da varie parti e all’inevitabile temporaneo logoramento causato dalle conseguenze della stagione pandemica. Ora esso è in grado di proporsi come uno dei punti di forza per quella scuola “del merito” perseguita dal governo in carica, perché senza scuole perfettamente funzionanti e culturalmente e pedagogicamente valide non si va nessuna parte.
Le insidie non sono tuttavia finite, perché è risaputo che una parte non marginale degli insegnanti (per quanto forse una quota meno consistente rispetto a qualche tempo fa) è contraria all’idea che la vita scolastica (e implicitamente la docenza) sia soggetta a una valutazione a 360 gradi (vedi le resistenze alle prove Invalsi, compresi i tentativi da parte di docenti irresponsabili di falsarne gli esiti) e proclama, talora con scopi puramente strumentali, il primato della sola autovalutazione interna, l’unica che – stando alle tesi dei no Invalsi – sarebbe idonea a fornire il quadro reale della vita scolastica.
Come è noto la vera e propria avversione alla valutazione, alle pratiche e procedure previste dal Snv e ai propositi per fare del miglioramento una delle bussole per l’attività scolastica sono stati fatte proprie anche da alcuni partiti (ai tempi del governo gialloverde più di una personalità politica invocò la liquidazione dell’Invalsi) e da quei segmenti sindacali più interessati a infoltire gli organici attraverso sbrigative operazioni “ope legis” che ad assicurare all’Italia una scuola seria, inclusiva, centrata sulla persona degli allievi, all’altezza di tempi che corrono veloci e hanno bisogno di menti aperte e pronte.
Il secondo decennio del Snv potrebbe portare a piena maturazione le potenzialità previste dalle norme del 2013. Oggi disponiamo di una notevole quantità di esperienze, di sperimentazioni (da quelle pionieristiche dell’Indire a quelle pluriannuali della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo di Torino), di ricerche e studi che consentono di tracciare le vie più appropriate per incrementare il capitale professionale degli istituti scolastici, superare pregiudizi e riserve verso le pratiche valutative spesso condizionate da letture ideologiche. Esperienze e ricerche che hanno anche scandagliato la dimensione delle risorse economiche e delle condizioni organizzative necessarie per dare vita a una campagna in grande stile volta a promuovere e diffondere capillarmente la cultura del miglioramento.
Per restare all’attuale scenario politico scolastico, attraverso un sistematico sostegno alle iniziative di miglioramento è possibile saldare in un’unica strategia la prospettiva del merito e quella dell’innalzamento della qualità scolastica. Il richiamo al merito va considerato nelle sue varie accezioni e interpretazioni possibili, non solo come eccellenza negli studi, ma, ad esempio, anche come riconoscimento degli sforzi compiuti per superare un ostacolo e come disponibilità e volontà a contenere le patologie del sistema formativo.
Di conseguenza è certamente meritevole un collegio docenti di gran classe, ma non lo è di meno quel collegio che trovandosi a gestire situazioni problematiche trova modo di migliorare i suoi risultati, ridurre gli abbandoni, contrastare il sotto rendimento, superare l’individualismo didattico. In questo quadro non è difficile cogliere le connessioni tra la ricerca di una scuola qualitativamente all’altezza dei tempi e il bisogno di migliorarne non solo le strutture materiali, ma anche la consapevolezza educativa dei docenti, i contenuti e le metodologie praticate.
In definitiva – detto in altre parole – si può ragionevolmente sostenere che non ci può essere l’aspirazione a fare del merito il baricentro ideal-politico della scuola, se non c’è una equivalente spinta verso una scuola capace di fare i conti con sé stessa e, dunque, capace di confrontarsi con la realtà, con le famiglie, con il disagio e la povertà culturale, in una parola impegnata a conseguire obiettivi sfidanti e non semplicemente di routine.
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