L’episodio del ragazzo che ad Abbiategrasso ha colpito la sua professoressa con un coltello, mi ha fatto venire in mente di schianto il volto dei miei alunni. Non ho mai pensato, entrando in classe, che avrei potuto essere accoltellato o aggredito. E non ho mai pensato di guardare ai miei studenti, neanche ai più problematici tra loro, come a qualcuno da cui dovermi proteggere. Mi è sorta però una domanda: a chi permetteremo di disarmarci?
Già, perché abbiamo permesso da anni che ci armassero. Maschere, mode, musiche, modelli… ci hanno riempito di cose non nostre con cui abbiamo iniziato a recitare la parte di quelli che le conoscevano da sempre. Nel tempo sono diventati pugnali, lance, pistole, bombe che, in una ininterrotta battaglia, hanno finito per metterci uno contro l’altro. Poi sono arrivate le armi del conformismo, delle cose che si possono dire e di quelle che non si possono dire, in una società che pretende addirittura di ridefinire l’uomo. E anche questo è diventato terreno di scontro di un’ideologia contro l’altra.
Potremmo continuare l’elenco di quello che Gaber intuì in una delle sue canzoni scritta nel 1976. Si intitola La solitudine ed è contenuta nell’album Libertà obbligatoria. A un certo punto appare questa frase: “Uno fa quel che può per poter conquistare gli altri castrandosi un po’, c’è chi ama o fa sfoggio di bontà ma non è lui, è il suo modo di farsi accettare di più, anche a costo di scordarsi di sé, ma non basta mai”.
La cosa più urgente è vivere intensamente il reale da uomini e donne liberi. Ne ho avuto l’ennesima prova settimana scorsa quando, in due delle mie classi, ho chiesto ai ragazzi quale fosse la cosa che li aveva colpiti di più lungo l’anno. Si è aperto un dialogo strepitoso che ha stupito anzitutto me. Senza traccia di nessuna armatura ci siamo raccontati per quello che abbiamo vissuto.
Per questo non so se ci sia bisogno dello psicologo nelle scuole, ma so per certo che c’è bisogno di adulti disarmati che, davanti a ragazzi e ragazze che non siano costretti ad armarsi, possano vivere l’avventura della conoscenza senza paura. Ma siamo disposti a mettere da parte tutto quello che ci hanno messo in mano per difenderci? E a chi permetteremo di disarmarci?
Non conosciamo la storia personale di quel ragazzo e il suo rapporto con l’insegnante e con gli adulti. Ci sfuggono tante cose di questa vicenda di Abbiategrasso, il che induce a una giusta prudenza nei giudizi, ma una domanda resta: cosa può trasformare l’impeto del ferire nell’impeto del fare i conti con la propria ferita? Viene in mente quella scena della passione di Cristo, drammatica, tenebrosa, violenta. Pietro difende Gesù usando la spada contro i soldati giunti per arrestarlo. Ne ferisce uno. A quel punto Cristo ordina a Pietro di deporre la spada. E Pietro obbedisce. Si lascia disarmare. Se glielo avesse chiesto un altro si sarebbe arrabbiato ancora di più. Ma la voce è quella del Maestro e lui la ascolta. La stessa voce che lo riabbraccerà dopo il rinnegamento, vera ferita di tutta la passione.
E noi? Nella vita c’è qualcuno la cui voce siamo disposti ad ascoltare? Uno che non ci lascia in balìa delle armi del mondo, ma che ci fa scoprire la bellezza che siamo senza doverci difendere?
Solo se nella mia vita c’è questa presenza uno continuerà a entrare in classe senza temere nulla, se non il pericolo di scordarsi di sé.
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