10 marzo 2000-10 marzo 2020. Vent’anni di una legge tanto discussa, da molti osannata e da altri boicottata. Una legge che ha sancito che il sistema scolastico è plurale. Nessuno di noi può nascondere che in questi anni abbiamo fatto migliaia di convegni, articoli, interventi, una fiumana di parole e affermazioni che hanno riempito i nostri scritti su un tema ancora oggi molto dibattuto. Vent’anni vissuti inutilmente? No, assolutamente. Abbiamo fatto passare nella testa delle persone del nostro Paese almeno due concetti importanti: il primo la scuola è tutta pubblica perché pubblica è la sua funzione; e il secondo riguarda la libertà di scelta educativa e il pluralismo scolastico.



Chi di noi ha lavorato su questi temi sa benissimo che dietro a questa legge ci sta una questione ideologica fortissima oggi ancora presente in tutto il nostro Paese. Ciò che è pubblico corrisponde a statale e quindi esprime “garanzia”, ma ciò che è privato ha sempre un’ombra di dubbio, di non chiarezza.

Lo vediamo pure ora nella grave emergenza che stiamo attraversando in tutto il Paese: nelle dichiarazioni e interviste sul sistema sanitario l’aggettivo “pubblico” è inteso come statale e garanzia assoluta anche in una regione come la Lombardia, che da sempre ha dimostrato una possibile seppur faticosa collaborazione e integrazione fra i sistemi pubblico e privato.



Perché noi italiani vogliamo sempre schierarci e alimentare discussioni ideologiche e partitiche che non ci fanno bene non solo nella sanità, ma anche o forse soprattutto nella scuola?

La scuola è tutta pubblica, la scuola è scuola indipendentemente da chi la gestisce, deve rispondere a controlli, standard di qualità eccetera, ma ad una condizione: tutti devono avere pari opportunità.

Un bambino che frequenta una scuola paritaria deve avere lo stesso trattamento di equipollenza di un bambino che frequenta una scuola statale. Questo concetto non è ancora passato, quindi una libertà a pagamento è discriminante sotto ogni punto di vista e non può essere accettata.



La legge 62/2000 è o non è una legge dello Stato italiano? Occorre essere forti però nelle ragioni, essere convinti tutti, genitori, ragazzi, docenti, dirigenti, personale Ata, gestori e congregazioni che noi siamo discriminati costituzionalmente secondo l’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua e di religione, di opinioni politiche, di condizioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”.

Pluralismo scolastico, libertà di scelta educativa sono quindi concessioni o diritti?

Pensiamo a tutta la questione dei bambini con disabilità che scelgono e quindi possono entrare in una scuola paritaria, ma non hanno dallo Stato lo stesso trattamento di chi sceglie di andare in una scuola statale. Questa non è discriminazione? Oppure la questione del concorso e il non riconoscimento della funzione pubblica dei docenti della scuola paritaria?

La questione del pluralismo è una questione laica, laicissima, che non riguarda i cattolici o le “loro” scuole, ma piuttosto un Paese che non è libero e democratico perché rende l’istruzione monopolio di Stato.

Tutte le scuole del sistema scolastico dovrebbero essere “paritarie”, cioè autonome, ma nella realtà non lo sono; quella legge del 1999 nata poco prima della 62 era ed è una legge scomoda, perché mette scompiglio in un sistema che cerca di uniformare per ben governare.

Come dice il mio carissimo amico Luigi Berlinguer, “L’Italia è un Paese plurale come intuizione e concezione originaria. I piedi sono tutti uguali ma le teste no, sono tutte diverse, affermare una uguaglianza è una cosa forzata. Quindi pari opportunità per tutti, perché tutti esseri umani”.

Come genitori e mondo della scuola paritaria non vogliamo e non dobbiamo essere una lobby che pone sul tavolo dei politici e delle istituzioni delle questioni “private”. L’educazione è un bene pubblico, bene comune e quindi occorre muoversi di conseguenza con fermezza istituzionale.

Stiamo diventando, o forse lo siamo già, un popolo, stanco, vecchio non solo anagraficamente, che sembra aver perso interesse civico, sociale, culturale e umano.

Siamo una minoranza, ma senz’altro siamo una minoranza creativa che interpella le istituzioni con stima e serietà, chiedendo però in cambio risposte concrete.

Dieci anni fa l’allora ministro Gelmini, in occasione dell’anniversario della 62/2000, a Montecitorio affermava: “Invito tutti a non pensare agli istituti, ma agli studenti e alle loro famiglie, e vi chiedo: c’è qualcuna di queste famiglie che merita meno di altre sostegno alla sua determinazione ad educare liberamente i propri figli in un modo piuttosto che in un altro?”.