Arena CdO piena in occasione dell’incontro “La nuova filiera professionale (4+2): ripensare la formazione tecnica” mercoledì al Meeting di Rimini. Si tratta di un comparto che riguarda un milione e mezzo di studenti, fra istituti tecnici e professionali e percorsi di formazione regionale (CFP), in un settore che da molti anni è interessato da riforme, ma dove per la prima volta, con l’intervento recente del ministero detto del “4+2” (diventato legge a fine luglio), l’orizzonte si allarga a comprendere il territorio, la rete produttiva, gli stakeholders: l’obiettivo è la creazione di un ecosistema che metta insieme formazione e chi della formazione dei giovani fruirà, cioè la società civile.
Il gap da colmare è quello tra la società, che spesso non trova persone qualificate, pronte a ricoprire gli incarichi specializzati che molte produzioni richiedono, e la scuola, che prepara figure che a volte non trovano collocazione adeguata nel momento successivo dell’ingresso nella società adulta. È una situazione problematica che in Italia è particolarmente sentita, con molti giovani che trovano impieghi che non corrispondono al percorso di studi seguito, e aziende che non riescono a trovare personale pronto alle mansioni richieste, con grave dispersione di risorse e possibilità occupazionali.
Come ha ricordato Arduino Salatin, docente presso l’Istituto Universitario Salesiano IUSVE di Venezia, da anni impegnato sul fronte della formazione professionale, la scommessa è quella sulla fiducia delle famiglie e sulla disponibilità del territorio a supportare un’ipotesi così impegnativa: c’è da sperare bene, se già 150 istituti sono pronti alla sperimentazione, il che significa che hanno ottenuto l’approvazione del collegio docenti (primo step non facile) e la fiducia delle famiglie, che hanno iscritto i loro figli scommettendo su questa ipotesi.
Le critiche al progetto non sono mancate: come svolgere in 4 anni quello che prima si faceva in 5? E soprattutto: si tratta di una sudditanza della scuola alle imprese e alle loro logiche?
In realtà il percorso 4+2 è pensato come somma a 6, non come 5-1, quindi si tratta di un curriculum da ripensare interamente in base a un percorso nuovo che arriva alla formazione superiore. Sarà la didattica, che nel settore professionale è assai più flessibile e duttile che negli altri ordini scolastici, a fare la differenza, e qui la fiducia degli insegnanti che hanno approvato la sperimentazione significa anche scommettere sulla propria capacità di innovazione e di autonomia didattica.
Già da ora è cominciato un fecondo dialogo fra percorsi di formazione e imprese per ripensare i profili in uscita, rivedere i curricoli e le metodologie, lavorare sui quadri orari, le docenze, il monteore, eccetera. Davvero un “movimento” nella scuola, che può portare nel sistema una buona dose di flessibilità, in un sistema ingessato, dove si fa fatica a innescare dinamismi virtuosi (ricordo un titolo della compianta Luisa Ribolzi Il sistema ingessato. Autonomia, scelta e qualità nella scuola italiana che compie oggi i 10 anni dalla sua pubblicazione). Le esperienze già avviate non mancano, come è emerso dalle testimonianze nel corso dell’incontro nell’Arena CdO.
Che fisionomia ha lo studente che uscirà da un percorso così nuovo? Certamente un giovane “attrezzato” per avvicinarsi al lavoro con cognizione di causa, se non sulle innovazioni tecnologiche sempre proiettate in avanti, certamente sulle esigenze, le logiche dei vari settori produttivi, i vincoli, le possibilità evolutive delle organizzazioni aziendali. Ma non manca l’apertura a 360 gradi sulla persona che occuperà quei posti. E qui un piccolo cambiamento di mentalità è richiesto, perché chi lavora non è “succube del sistema”, asservito all’alienante dovere di fare andare avanti una macchina produttiva a cui è estraneo: ci entra da protagonista critico, da persona dotata di talenti, con un bagaglio di competenze “non cognitive” fondamentali che pure fanno parte di un percorso formativo, e una serie di competenze trasversali che maturano insieme nell’apprendimento teorico e nell’azione pratica: lode al valore formativo integrale del lavoro!
Ne sono stati esempio concreto, nel workshop promosso dall’associazione Diesse (Didattica e innovazione scolastica) all’interno dello spazio CdO, il percorso “lettura ad alta voce” esemplificato da Giulia Totaro, e le progettazioni per obiettivo presentate da Letizia Ferri. Leggere integralmente in una maniera didatticamente efficace romanzi da adulti, non pensati per la scuola, impegnativi per ragazzi dei CFP, come per esempio La strada di Cormac McCarthy, produce competenze lessicali, sintattiche, testuali alte e un impatto personale con i temi trattati, che servono a chi entra nel mondo adulto indifferentemente dal settore in cui poi opererà (e dall’ordine di scuola: il liceo come la formazione professionale). Imparare ad osservare e a valutare i dati di partenza, a qualunque campo disciplinare questo si applichi, finalizzando così i campi disciplinari a una competenza fondamentale per il problem solving, rende il sapere non “utile” in senso funzionalistico bensì “sensato” cioè orientato a un fine ragionevole e motivante.
Questi due esempi mostrano da un lato che la didattica è fortemente interessata al processo innovativo, dall’altro che è richiesta una collegialità, uno sguardo “di sistema” per il quale ogni disciplina concorre al raggiungimento del profilo in uscita. La progettazione cioè non come adempimento burocratico ma come spazio di pensiero in cui ciascuno mette al servizio dei ragazzi la propria parte di impegno.
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