Non multa sed multum! Proprio ora, un tempo in cui scuola e mercato dell’occupazione vivono un’enorme estraneità, ora in cui molte nuove professioni sembrerebbero essere sostenute da nuovi modelli di competenza, molto lontani dai nostri curricula scolastici, proprio ora in cui i docenti vivono una profonda umiliazione sia relativamente all’annosa questione retributiva sia relativamente alla crisi reputazionale, il ministero, sempre condizionato dai target di Bruxelles, ha investito – per ora nella sola scuola statale! – una somma significativa per dare ai docenti che lo desiderino la “patente” di orientatori; e contemporaneamente si è stabilito con il DM 328/22 di proporre 30 ore per ciascun anno dell’ultimo triennio superiore dedicate a questa nuova “materia”. Ma a breve anche il biennio delle superiori e il primo grado dovranno prendere questa strada.
I docenti interessati hanno dovuto seguire un percorso di formazione e avranno la responsabilità di accompagnare gruppi dal numero variabile tra 30 e 50 studenti su questa nuova tematica.
Si coglie anche in questo caso la prevalenza dell’intervento burocratico rispetto alla valorizzazione dell’autonomia.
Da decenni nelle scuole superiori (ma anche nella secondaria di primo grado) si fa orientamento; ora la macchina, pur apprezzabile, rischia di omologare in modo repentino molti dei progetti più originali.
È lodevole anche la volontà del ministero di riconoscere in maniera significativa il lavoro dei docenti; tuttavia avere la pretesa di costruire una professionalità capace di orientare in così breve tempo è ancora una volta un’azione, se pur meritoria, poco coerente alla complessità del bisogno formativo.
A onor del vero, pur sottolineando l’enorme divario fra la retribuzione del professionista standard e quella del professionista docente, va riconosciuta la volontà del legislatore di attribuire a un docente tutor una somma media di circa 2mila euro annui, quasi equivalenti alla retribuzione dell’impegno dei docenti funzioni strumentali, quelle preziosissime funzioni che insieme ai collaboratori del dirigente scolastico nella scuola statale “tengono in piedi la scuola”.
I docenti hanno svolto on line un corso di 20 ore, hanno affrontato un test finale e acquisito la patente di tutor ufficiale. Accanto a loro è stata prevista anche la figura strategica dell’orientatore che coordinerà il percorso. Una piattaforma consentirà allo studente di raccogliere la documentazione e di costruire il proprio progetto formativo.
Apparentemente tutto perfetto: è stato riconosciuto l’orientamento come nucleo fondante del percorso scolastico, il lavoro dei docenti per una volta stimato e retribuito e le esperienze svolte saranno ben tracciate e documentate. Non solo. A differenza del precedente tentativo, quel Portfolio presto dimenticato, il nuovo progetto ha ricevuto anche l’approvazione del mondo sindacale.
Nondimeno, pur apprezzando lo sforzo di razionalizzazione e di valorizzazione di questa irrinunciabile proposta, vale la pena sottolinearne i rischi.
30 ore sono molte nel percorso scolastico, soprattutto se sottratte ad altre discipline, soprattutto negli ultimi anni di scuola superiore e nell’imminenza dell’esame di Stato. In anni tra l’altro in cui è stata inserita anche la disciplina di educazione civica, sempre prevedendo altre 30 ore annue.
Inoltre, come accennato, il ruolo del tutor dell’orientamento è un ruolo altamente qualificato, difficilmente conseguibile con un breve corso online di 20 ore.
È di questi rigidi paradigmi che hanno realmente bisogno i nostri studenti?Non hanno piuttosto bisogno, soprattutto i più deboli, quelli che provengono da contesti più deprivati, magari non perfettamente italofoni, di fare esperienza dei propri talenti, attraverso l’incontro con maestri, esperienze culturali o imprenditoriali stimolanti, che mobilitano tutte le energie di cui il giovane è in possesso ma che spesso risultano sopite e rattrappite dall’omologazione imperante?
La strada dell’orientamento (dal latino “orior”, sorgere) dovrebbe essere un percorso generativo delle risorse, dei desideri, dei talenti del soggetto, non può ancora una volta trasformarsi in un progetto omologato e strutturato in maniera standard. Oggi neppure i numerosi Open Day universitari riescono a intercettare, se non in superficie, talenti e desideri. Crediamo che sia soprattutto l’incontro con donne e uomini lieti di aver contribuito con la propria energia intellettuale, ma anche con il proprio cuore al bene del mondo a generare nei nostri ragazzi una domanda di senso sul proprio futuro.
Di questo hanno bisogno soprattutto, di adulti certi e soddisfatti di aver potuto costruire un pezzo di realtà e per questo desiderosi di mobilitare energie fisiche e intellettuali.
Soddisfatti non solo per un giusto riconoscimento economico, per la stima e la reputazione di cui hanno potuto godere nell’ambito in cui hanno esercitato le loro migliori energie, ma per la soddisfazione di poter passare il testimone.
Quando è dato di incontrare questa umanità soddisfatta (soddisfatta, non orgogliosamente presuntuosa), gli occhi e il cuore dei nostri giovani, anche i più ammaccati, si ridestano e sono capaci di rischiare una scelta che altrimenti rischia di essere dettata da un generico opportunismo o peggio ancora di una casualità foriera di insuccessi.
Non è di informazione che i nostri ragazzi hanno bisogno. La complessità della realtà produttiva ai nostri giorni mostra spesso e volentieri il solo dato quantitativo, destinato ad essere immediatamente oltrepassato verso una complessità crescente. Hanno bisogno di ritrovare il gusto del rischio e la certezza del positivo contributo che ciascuno può offrire al bene di tutti.
In sintesi, ecco qualche proposta pratica.
1) Valorizzare le attività di orientamento – che costituiscono sicuramente un elemento fondativo dell’offerta formativa – nella quotidianità didattica.
2) Offrire a tutti i nostri giovani (soprattutto a quelli provenienti da contesti più deboli) un’informazione essenziale del panorama degli studi superiori e delle professioni; offrire a tutti gli elementi essenziali del diritto del lavoro, onde evitare pericolosi fraintendimenti.
3) Non pretendere tuttavia che la scuola rappresenti l’unico osservatorio dei talenti dello studente: rappresenterebbe una pericolosa forma di “totalitarismo”. La scuola continui ad essere un luogo privilegiato di accompagnamento al futuro, ma non si assuma il ruolo di unica bussola per un percorso orientativo che ha invece bisogno di molteplici attori.
Anche l’interessante dibattito sviluppato su queste pagine fra cognitive e non cognitive skills deve vedere la scuola tra gli attori, ma non necessariamente nel ruolo di protagonista. I tutor dei percorsi di alternanza, ora PCTO) possono sicuramente contribuire a sostenere ragazze e ragazzi nella scelta, insieme a tanti altri maestri che talora, anche in modo casuale, il giovane può trovare sulla propria strada.
4) Favorire la formazione dei docenti non solo in ambito psicologico, che pure è assolutamente necessario, ma consentire loro, soprattutto a chi si è assunto il ruolo di tutor, di fare esperienza diretta della realtà lavorativa. Troppo spesso il docente, anche quello meglio preparato, vive una condizione di “separazione” che lo rende poco adeguato ad introdurre i ragazzi a lui affidati alla realtà delle altre professioni. Non è un caso, e lo dico per esperienza diretta, che tra i migliori docenti orientatori si trovino insegnanti che hanno anche esperienza del mondo delle professioni extra-scolastiche.
Qui il tema si fa delicato: in tema di valutazione la scuola superiore italiana privilegia ancora un modello rigorosamente cartesiano, di progressione delle conoscenze, e stenta a riconoscere accanto a queste, sicuramente essenziali, talenti di altra natura (comunicativi, relazionali, espressivi in senso lato).
I recenti concorsi si sono sforzati di premiare l’originalità didattica dei docenti, la loro capacità di interagire con il contesto scolastico, ma sul tema valutazione, che nell’orientamento è cruciale, c’è ancora molta strada da fare.
5) Guardare con fiducia a questa nuova sfida, impegnandosi tutti in una didattica capace di scoprire i talenti (talent scout si diceva un tempo), soprattutto quando questi sembrano sopiti. Tutti noi, andando alle origini delle nostre scelte di studio e di lavoro, sappiamo quanto i docenti che abbiamo incontrato per strada siano stati significativi (magari per farci odiare la loro disciplina, ma pur tuttavia un segno ce l’hanno lasciato!).
Fini a poco fa il giovane intercettava in qualche modo l’adulto, che poteva diventare il Virgilio di cui ciascuno ha bisogno. Ma ora è davvero raro che gli occhi dei ragazzi incontrino lo sguardo di maestri. Siamo al bivio: l’orientamento può essere una straordinaria occasione di assunzione di responsabilità rispetto al futuro del Paese oppure soltanto l’ennesima incombenza burocratica. Speriamo nella prima ipotesi.
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