Un test di cittadinanza per il 6 in condotta? “Sarà un esame (di maturità, ndr) che consentirà a ogni ragazzo di esprimere il meglio di quanto ha appreso negli anni e che terrà conto anche della valutazione del comportamento”, dichiara il ministro Valditara, “il nostro obiettivo è una scuola con standard di qualità sempre più alti, in cui la centralità della persona e la cultura del rispetto sono fondamentali”.
È una notizia che il 29 gennaio scorso ha accompagnato la diffusione delle materie oggetto della seconda prova dell’esame di maturità 2025. La legge 150/2024 prevede: “Nel caso di valutazione del comportamento pari a sei decimi, il consiglio di classe assegna un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale da trattare in sede di colloquio dell’esame conclusivo del secondo ciclo”.
La novità non ha suscitato grande clamore. In realtà, stante la situazione attuale del mondo dell’istruzione, attraversato da grandi problemi educativi e, al tempo stesso, distratto da una congerie di adempimenti e progetti di diversa origine, la novità introdotta non ha suscitato molta attenzione. Sicuramente uno dei motivi è che gli interessati al tema sono una assoluta minoranza. Sulla base della personale esperienza il 6 in condotta da presentare all’esame di Stato è rarissimo e in molte scuole non si rilevano casi.
È pur vero che vi sono altre scuole dove invece si può trovare più di un caso: sono quelle in cui si avvertono maggiori difficoltà di comportamento, spesso accompagnate da disagio sociale. In questa situazione ci si può chiedere quanto possa essere fruttuoso sottoporre uno studente tanto indisciplinato da conseguire il 6 in condotta a un elaborato critico in materia di cittadinanza.
Ma perché si assegna il 6 in condotta? E in che cosa consiste l’elaborato richiesto?
Alle due domande non c’è una risposta del tutto univoca, sebbene ci si possa attestare su alcuni elementi generali.
Prendiamo in considerazione la tabella dei criteri con cui si assegnano i voti. La prima scuola che si incontra tra i risultati di un’indagine realizzata con il motore di ricerca più comune sulla rete è il Liceo “Pacinotti” di Bologna: sul suo sito possiamo osservare che un sei in condotta è attribuito “per comportamenti non sempre corretti durante le attività d’istituto, per una partecipazione passiva o con elementi di disturbo, con rilievi e richiami, verbali e scritti (almeno quattro note disciplinari o di sospensioni) da parte dei docenti e per una frequenza non sempre regolare con un alto numero di assenze e/o di ritardi”. Vi sono forse tabelle più severe, ma, in generale, il voto di condotta è sempre stato piuttosto alto nei licei.
A volte i gli istituti tecnici e i professionali appaiono anche più rigorosi nelle richieste di comportamento agli studenti, forse proprio perché si trovano a fronteggiare problematiche più rilevanti rispetto ai licei.
È evidente che si tratta di un profilo che raramente corrisponde a quello di uno studente ammesso all’esame di Stato. Racconta di una storia complessa in classe, nei rapporti con gli adulti, nella crescita personale. Ci si potrebbe chiedere in che modo abbia potuto raggiungere gli obiettivi di sufficienza nelle diverse discipline, mantenendo al tempo stesso un comportamento di questo genere e come mai i docenti che ne valutano tanto negativo il comportamento, ne rilevino in maniera positiva le competenze disciplinari.
Cittadino almeno diciottenne, uno studente che si presenta all’esame di maturità con questo percorso troverà finalmente il suo momento di maturazione nell’elaborazione di un testo critico in materia di cittadinanza attiva e solidale? Troverà le parole che non ha mai avuto fino a quel momento per dire finalmente che cosa non ha funzionato nel suo rapporto con la scuola, i compagni e gli adulti? Rifletterà sul fatto che forse c’è un problema di rapporto con la realtà e con l’altro?
Avrà una lingua per spiegare quello che non va e che non ha ancora capito, dato che dovrà svolgere l’elaborato a una decina di giorni di distanza dall’atto finale dell’anno scolastico che lo ha visto pervicacemente mantenere un comportamento in buona sostanza ostile nei confronti della scuola? Riuscirà poi a spiegare nel colloquio i motivi delle sue azioni, le sue scelte o il fatto di non averne prese? E se si tratta di cittadinanza attiva e solidale perché scriverne, o parlarne, anziché “agirla”? Perché non chiedere di mettere in atto per tempo, negli anni, gesti di solidarietà concreta su cui riflettere con i docenti? E da cui imparare?
Quale sarà poi l’impatto di questo elaborato sull’esame? Sarà l’ordinanza ministeriale, che tutti gli anni governa le procedure dell’esame di Stato, a indicarlo, e qui si potranno adottare strade diverse, ad esempio centrando l’attenzione sulle norme o chiedendo allo studente una presa di consapevolezza su quanto avvenuto nel corso dell’anno. Chi sta redigendo l’ordinanza ha certamente una responsabilità in più quest’anno: quella di non far diventare l’appuntamento con l’elaborato del 6 in condotta un semplice atto formale. Non sarà facile!
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