Gentile direttore,
sono un docente di Lettere in un liceo milanese che, all’età di 36 anni, appartiene ormai alla generazione dei padri, come il governatore Fontana o il premier Conte.

Sono preoccupato, direttore, perché negli ultimi mesi la nostra generazione, la generazione dei padri, appunto, sta lanciando alle nuove generazioni un messaggio contraddittorio: a parole affermiamo che la formazione dei giovani è una priorità politica e sociale; nei fatti, tuttavia, sconfessiamo le nostre stesse affermazioni se, com’è avvenuto, a fronte della seconda ondata dell’epidemia, chiudiamo in primis scuola e università (con l’eccezione di quegli ordini di scuola che, qualora chiudessero, impedirebbero a padri e madri di andare al lavoro). Nulla di nuovo sotto il sole, potrebbe dire qualcuno, certamente più d’uno: però, diamine, nel bel mezzo di una crisi come quella che stiamo attraversando la divergenza tra parole e fatti si sta mostrando secondo una nuova, fin qui non ancor misurata ampiezza. Ce ne rendiamo conto?



Ricordo bene che nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione dell’Ordinanza di Regione Lombardia n.623 del 21 ottobre (che ha decretato il passaggio alla didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado in Lombardia), il governatore Fontana, col sottolineare la temporaneità dei provvedimenti regionali assunti in materia di istruzione, annunciò un tavolo di lavoro per studiare il rientro a scuola in tempi brevi tramite un ponderato scaglionamento degli ingressi scolastici. Com’era ovvio attendersi dei risultati di questo tavolo di lavoro ad oggi non c’è traccia e non solo per la pubblicazione, il 4 novembre, del Dpcm che impone la didattica a distanza (dalla seconda media in su) nelle regioni rosse almeno fino al 3 dicembre: ammesso pure che tale tavolo esista o sia esistito, come immaginare che venisse a capo di una strategia di rientro a scuola nel giro di pochi giorni e nella fase acuta dell’emergenza? quando nei mesi estivi, mentre la pandemia allentava la sua morsa, poco o nulla si è fatto a livello locale e nazionale per studiare un piano di rientro, eccetto che ripetere lo slogan che chiudeva ogni intervento politico sulla scuola: sulla scuola che avrebbe riaperto “in sicurezza”?



Che non vi fosse alcuna ragionata pianificazione sul ritorno in classe a settembre, al di là delle forniture di mascherine e banchi a rotelle, lo ha mostrato, appunto, la rapidità con la quale siamo tornati, chi è potuto tornare, alla didattica a distanza: eppure si sapeva che ci sarebbe stata una seconda ondata, come sappiamo già adesso che ve ne sarà una terza, e allora? Allora davvero, mi chiedo, noi padri siamo rassegnati ad attendere il vaccino per consentire il rientro in presenza a scuola e in università? ad attendere che il nuovo vaccino sia disponibile per tutti quando oggi il vaccino anti-influenzale risulta per tantissimi indisponibile? Perché davvero alla luce dell’inerzia politica riguardante l’istruzione negli ultimi mesi, sembra si stia profilando all’orizzonte, almeno nel nostro Paese, questa sola condizione per la riapertura stabile di scuola e università: la disponibilità del vaccino, appunto.



Scrivo “sembra si stia profilando” perché spero di sbagliarmi, perché spero si rientri in pianta stabile a scuola prima che il vaccino venga reso disponibile; d’altra parte ciò si potrà verificare solo in un caso, in uno dico: che ora (o mai più) il nostro governo renda stabilmente effettivo ed operativo quel tavolo di lavoro evocato da Fontana nei giorni immediatamente successivi l’Ordinanza: un tavolo di lavoro in cui convergano politici di ogni livello (governativo, regionale e comunale), rappresentanti del mondo della scuola e dei trasporti, oltre che i tecnici scientifici; un tavolo di lavoro animato da una prospettiva culturale capace di concepire, come in Francia e Germania, un sistema di risposta all’emergenza sanitaria in cui la scuola non sia la prima, ma al limite l’ultima a chiudere; un tavolo di lavoro dettato dunque da una visione politica generazionale, tanto capace di guardare al di là della prossima scadenza elettorale o delle previsioni sui conti economici del prossimo trimestre, quanto determinata a trovare un compromesso al rialzo con i sindacati per un rientro in presenza. In gioco c’è la formazione di chi dovrà gestire le crisi di domani, c’è il nostro presente, sì, e con esso il futuro nostro, dei nostri figli, dei figli dei nostri figli.

Scriveva Concita De Gregorio qualche giorno fa su Repubblica: “I ragazzi hanno bisogno della scuola […]. Diceva Churchill, a chi gli chiedeva: siamo in guerra chiudiamo teatri musei tutto? ‘No – rispondeva – Se non combattiamo per la bellezza per cos’altro dovremmo fare la guerra’. Per la bellezza, per il futuro, per far crescere una generazione nuova. Per cos’altro dovremmo combattere. Restare in vita è necessario ma non sufficiente […] non siamo al mondo solo per restare in vita e riprodurci, questo lo fanno altre specie, agli uomini è dato in dono il privilegio di vivere per qualcosa. Dare un senso” (La Repubblica, “Non permettiamo che la scuola si svuoti”, 1 novembre).

Proprio per questo occorre che il nostro governo provi a formulare, di concerto con Regioni e Comuni, una proposta seria e coraggiosa per un rientro a scuola in presenza dopo le vacanze natalizie che prescinda dallo stato dell’arte sul vaccino; una proposta capace, per esempio, di pianificare (per davvero) gli ingressi scaglionati, il potenziamento dei mezzi pubblici, un protocollo sanitario chiaro e univoco circa tracciamento, quarantena e test rapidi per personale scolastico e studenti, che insomma metta ciascuna scuola nella condizioni di tornare in presenza nel contesto geografico (urbano o extraurbano) e socio-sanitario in cui è collocata.

Un lavoro complicato? Certamente sì; allo stato attuale, possibile? Sì, ammesso lo si voglia: ammesso si voglia che la scuola diventi anche nei fatti una priorità politica. Ben vengano dunque incontri di confronto sul rientro in classe come quello dello scorso mercoledì tra la ministra Azzolina e i sindaci delle quattordici città metropolitane del Paese o quello, della scorsa settimana, tra il governatore lombardo Fontana e i rappresentanti di “Studenti presenti”, il gruppo di studenti che ha seguito le lezioni a distanza davanti alla sede della Regione Lombardia per sensibilizzare il ritorno a scuola in presenza: purché tali incontri siano articolazioni effettive (non strumentali, non retoriche) del lavoro sopra evocato.

A voi giovani, cosa dire? A fronte della prova che stiamo attraversando, non è dato sapere perché  proprio alla vostra generazione sia chiesto di crescere così in fretta rispetto, diciamo, alla mia generazione: che scatto di responsabilità vi viene chiesto, ad esempio, in merito alla vostra formazione! Ebbene: cogliete l’occasione! Per cogliere l’occasione, non fermatevi alle nostre contraddizioni: aiutateci a riconoscerle (come stanno facendo, per esempio, gli “Studenti presenti”) e ad affrontarle come state facendo in tanti, anche con la didattica a distanza. Penso alle lezioni di letteratura italiana di una mia classe che ha risposto con grande partecipazione ad un compito, peraltro facoltativo, che ho titolato “Costruisci la lezione insieme a me”: attraverso la condivisione di post Instagram, video YouTube, testi di canzone ecc. inerenti alle discussioni in classe, gli studenti mi offrono continui spunti per ripensare in senso dialogico le lezioni di letteratura, per problematizzare la nostra tradizione alla luce di domande che interessano il nostro presente.

D’altra parte, per cogliere l’occasione lasciatevi accompagnare da chi, pur con tutti i suoi limiti, ogni giorno prova, sta provando, come in presenza così a distanza, a entrare in dialogo con voi; non abbiate paura a cercare quel che cercava, in un momento di crisi (personale e collettivo) analogo al nostro, il giovane protagonista de Il primo uomo di Albert Camus: “Ho cercato sin dall’inizio, ancora bramo, di scoprire da solo che cosa fosse bene e che cosa fosse male – poiché intorno a me nessuno era in grado di dirmelo. E ora che tutto mi abbandona, mi rendo conto di aver bisogno di qualcuno che mi indichi la strada […] non in nome del potere ma in quello dell’autorità, ho bisogno di mio padre”. Ritorna qui e ora l’urgenza di un dialogo tra voi, giovani, e noi, padri e madri: perché insieme, solo insieme, possiamo corrispondere al compito difficile ed entusiasmante di ripensare oggi questo nostro splendido, travagliato mondo e, di questo mondo, anche la scuola.