Non è vero. Non è solo allo Stato che la scuola non importa, come sostiene Chiara Saraceno. Come già più volte sostenuto in queste pagine, è a tutta una comunità nazionale, a tutte le istituzioni pubbliche e private, a tutti gli organismi del primo, secondo, terzo e… non so se anche quarto settore che la scuola non importa.



Che il ministero dell’Interno debba prendere atto che non si possono usare municipi, caserme, uffici postali (e, aggiungiamo, ministeri, uffici del fisco e dell’Inps, parrocchie e quant’altro) nei due giorni di settembre per le elezioni amministrative in sei regioni, non è solo un fallimento organizzativo del ministero e della politica.



È l’ulteriore conferma che, al di là dei proclami (pochi a dire il vero) sulla centralità della scuola, della formazione e dell’istruzione, questa “centralità” appartiene al migliore sport nazionale: la retorica.

In fondo è una conferma: la vera emergenza nazionale che rimane è quella educativa.

Abbiamo forse assistito alla repentina corsa delle varie istituzioni ed enti ad offrire gratuitamente allo Stato locali e organizzazione per evitare ai nostri figli nuove interruzioni delle lezioni dopo la ripresa della scuola a settembre? Abbiamo letto di presidenti regionali minacciare la requisizione di ambienti pubblici e privati per non perdere un’altra settimana di scuola?Abbiamo ricevuto appelli di centinaia di senatori e deputati per sottoscrivere una proposta di legge che eviti alla scuola nuovi rinvii? Abbiamo visto manifestazioni sindacali urgentemente convocate per chiedere che le lezioni a scuola inizino presto e bene, con tutti gli insegnanti necessari in cattedra dall’1 settembre e per tutto l’anno stabili? Abbiamo visto associazioni studentesche riempire le piazze per chiedere di iniziare subito a studiare e recuperare assieme le lacune cui siamo stati costretti dalla chiusura?



Tranquilli: in fondo che cosa sono altri giorni di scuola persi?