“Nell’amore le nuove generazioni non credono più, ci si vergogna a fare i romantici, l’amore e tutto ciò che lo riguarda è per i deboli. L’uomo non è più ‘sottomesso’ dalla figura femminile in tutta la sua bellezza e le sue qualità, mentre la donna, dal canto suo, è focalizzata su altro e non si fa molti scrupoli sull’argomento. Le relazioni sono blande, per stare con un’altra persona non è necessario essere innamorati. Leggendo una poesia antica mi sono fermata a riflettere che ormai l’amore non è niente, non è né gioia né dolore.
È un passatempo, una valvola di sfogo. Essere talmente innamorato da sopportare anche i grandi dolori che l’amore provoca è da stolti. Fare la corte a una donna è ridicolo, sia per lei che per lui. Ho nostalgia di un’epoca lontana, in cui esprimere i propri sentimenti era normale, e ringrazio che al mondo ci siano ancora persone che la pensano come me”.
La lunga citazione proviene dal compito di una mia studentessa, Giada, invitata ad analizzare una lirica d’amore di qualche secolo fa e a dare un giudizio sulla realtà contemporanea. Mi colpisce questa nostalgia di un mondo che non c’è più, come anche la critica spietata e piena di dolore al mondo attuale.
Quante Giada ci sono in giro, a scuola, intorno a noi? Forse non poche, forse più di quante pensiamo, ma stanno nascoste. Si tratta di adolescenti che chiedono qualcosa di più nei rapporti umani con l’altro sesso, che chiedono tenerezza, profondità, che non si rassegnano a stare dentro gli schemi e gli stili di vita imposti dalla società.
Nelle recenti manifestazioni per la giornata della donna, la parola più diffusa e proposta è stata di sicuro “stereotipo”, sempre e solo collegata ad un passato “patriarcale”, ma, come al solito, si è parlato di qualcosa che, pur persistendo, non è il vero problema. C’è infatti un ben altro stereotipo invasivo e pervasivo, dominante, violento e totalitario, che impone alla donna di essere “stilosa”, come si dice, disinvolta, disponibile, aggressiva, provocante.
È una donna che non deve essere corteggiata ma corteggiare, farsi avanti lei per prima, ribellarsi alla figura angelica di un passato (che ovviamente in pochi hanno conosciuto davvero) ed assumere la posizione della conquistatrice dominante. Questo è il nuovo stereotipo, quello con cui fare i conti, imposto dalle attrici, dalle cantanti, dalla moda, dai media, dai social. Gli atteggiamenti elencati da Giada sono naturalmente connessi a questo stereotipo.
Potremmo definirlo il modello Grease. Ricorderete il mitico film e ne ricorderete la scena finale, in cui Sally, la brava ragazza impersonata da Olivia Newton John, si trasforma in una bomba sexy, cedendo finalmente, dopo tante esitazioni, al modello imposto dal mondo giovanile nel quale si trova a vivere, dalle sue amiche, dal suo ragazzo. Nessuno ha mai seriamente riflettuto che quella scena finale, che sembra quasi una liberazione, un trionfo, è in realtà una vera sconfitta, un doversi adeguare a qualcosa che si “deve essere” se si vuole semplicemente esistere.
Il personaggio di Sally deve in qualche modo rinnegare sé stessa, le proprie convinzioni, il proprio stile di vita nel quale è cresciuta, ed “essere come le altre”, subendo una trasformazione che la mette in maschera, come in un carnevale. Il problema è che il carnevale finisce, mentre la vita continua e nessuno ci narrerà la storia di Sally dopo quel giorno glorioso.
In ogni caso il messaggio alle ragazze è passato e lo stereotipo è stato fondato. Ora la vita di una giovane non sarà più la stessa. Grease è la parabola di una conversione a uno stereotipo. Quando il film uscì non potevamo prevedere il trionfo totale di quello stereotipo.
L’analisi di Pier Paolo Pasolini sull’omologazione dei giovani qui ci aiuta moltissimo. La necessità di sottomettersi allo stereotipo genera ansia, frustrazioni, senso di sconfitta, mali mortali che si annidano presto nella psiche delle ragazze (e anche dei ragazzi), soprattutto di quelle che si accorgono di non essere adeguate, di “non essere abbastanza”, come dicono oggi.
Questo essere disinvolta, disponibile, pronta alle avventure, sempre in tiro, sempre al top è qualcosa che collide con la riservatezza, la delicatezza, il desiderio di amore vero e profondo. Tutte cose di cui vergognarsi, roba vecchia, antica, ridicola. Nel nostro mondo contemporaneo, come nel “Brave New World” di Huxley, le ragazze devono essere “solo carne”, per i maschi, ed esse stesse devono imparare a considerarsi “solo carne”. Sarà un caso che la stragrande maggioranza di creators su OnlyFans è costituita da giovani donne?
Spiace dirlo e probabilmente questa verità risulterà urticante a chi la ascolta, ma se questo accade è perché si tratta appunto di una verità, si è davvero colpito al cuore qualcosa che non è un relitto del passato, ma di vivo e vegeto oggi intorno a noi, dentro di noi. Provate a parlarne con i giovani e notate le reazioni.
Lo stereotipo impone quell’amore “niente” di cui parla Giada. La ragazza rimpiange il corteggiamento in un’epoca in cui si corteggia con un “ehi” o, variante, un “ohi” su Whatsapp (è la stessa modalità utilizzata sia dai ragazzi che dalle ragazze). Queste interiezioni dovrebbero significare “mi interessi, vorrei conoscerti, stare con te” eccetera eccetera. Ma basta un’interiezione, forse in futuro anche un’onomatopea, per farsi presente: manifestazioni adatte ad una generazione di afasici, come li definiva già profeticamente negli anni Settanta Pasolini, che usano non un pensiero ma un suono, qualcosa di emesso da chi è “solo carne”. Dopo un “ehi”, o addirittura un like, inizia spesso un rapporto.
Il problema è che dentro questo stereotipo si sta stretti, molto stretti, e Giada, e le poche o tante invisibili come lei, ne è testimonianza. La persona, quella almeno cosciente di esserlo, chiede qualcosa di più, ma si guarda bene dal chiederlo, dall’esprimerlo, perché verrebbe derisa, se non criticata, se non addirittura insultata. Non è facile dire che il re è nudo, quando il potere sostiene il contrario e il pensiero dominante è col potere. Non è facile mettersi contro tutti e tutto.
Come uscirne? Prendendo coscienza dello stereotipo dominante e mettendolo a tema, a nudo, facendone oggetto di discussione senza esitazioni, senza mezzi termini; opponendogli il proprio no e ridicolizzando tutti quelli che lo sostengono e contribuiscono a imporlo, influencer, star, social; soprattutto svergognando i peggiori di tutti, i mistificatori, quelli che presentano lo stereotipo come una via per liberarsi, ribellarsi, disobbedire e realizzare sé stessi, mentre in realtà sono i testimonial di un “obbedire disobbedendo”, per citare ancora Pasolini.
Questa “generazione sfortunata” di oggi riuscirà a liberarsi davvero? Riuscirà a pronunciare il suo no, il suo basta? Troverà compagni di viaggio che la aiutino in questo difficile compito? Ma, soprattutto, avrà la forza, l’autostima, la dignità e la voglia di cercare chi, nell’inferno, non è inferno e dargli spazio?
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