Osservo i miei numerosi alunni, ma ascolto anche le condivisioni di amiche, mamme, con figli in età scolare, come pure le domande scomode e provocatorie che qualche amico sempre mi pone, punzecchiandomi quando si finisce a parlare di scuola. Fino a che punto è bene differenziare la didattica per permettere a ciascuno di trovare spazi, tempi e modi propri? In che modo la presenza di un maggior numero di alunni con Bisogni educativi speciali (BES) la influenza direzionandola, appunto, verso una maggiore “frammentazione”? Tale personificazione è realmente positiva? E fino a che punto, invece, bisognerebbe ri-tornare a una lezione frontale, nozionistica o in cui comunque il docente sia il protagonista-amministratore del sapere dando a tutti lo stesso cibo? È giusto differenziare sempre? Tutti i docenti sanno farlo? E in modo efficace? Non si rischia di rendere “padrone” egocentrico ogni singolo alunno proprio in un’epoca in cui è l’individualismo il grande nemico della società? Forse la risposta potrebbe apparire retorica.
Questo periodo dell’anno sono le settimane in cui le famiglie dei ragazzi a cui viene stilato un Piano didattico personalizzato (PDP) o un Piano educativo individualizzato (PEI) vengono convocate per firmarlo e sigillare una formale alleanza tra agenzie educative che si prendono cura dello studente.
Sicuramente il D.M. del 2012 ha dato un volto e una tutela a tutte quelle situazioni di fragilità che molti alunni vivono: i disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia); come pure, dal 2013, anche altre tipologie di difficoltà sono state attenzionate, proprio a partire da tale decreto: difficoltà legate a un contesto sociale, economico e culturale svantaggiato, situazioni non medicalizzabili in quanto non rientranti nei parametri medici previsti, ma comunque indicanti una problematica. Aver posto l’attenzione su tali condizioni da una parte ha fatto emergere una complessità sommersa che prima veniva gestita spesso con la bocciatura, i rimandi a settembre o che veniva associata semplicemente a una poca voglia o predisposizione allo studio; dall’altra ha fatto aumentare considerevolmente le situazioni di disagio attenzionate e con esse il numero di docenti di sostegno necessari e una domanda sul modo di insegnare.
La scuola, per quanto bistrattata e attaccata, in realtà ha accolto questa sfida silenziosa, non più ignorabile ma sempre più evidente, e si è posta in modo interrogativo-costruttivo di fronte ad essa. I docenti negli ultimi anni si sono formati in merito e hanno iniziato a adottare metodologie che sempre più cercano di valorizzare i punti di forza di ciascuno, sottolineandone il percorso di crescita e i progressi, rispettando le peculiarità della persona. Non è una sfida immediata. È un po’ come avere 20-25 figli a cui cercare di fornire ogni giorno ciò che fa meglio a ognuno. Agire in questo modo non rischia di rendere ancora più “tiranno” un bambino che oggi potrebbe diventare sempre più padrone dei propri genitori e dell’adulto? È lecito chiederlo, anche a se stessi. Spiegare in un unico modo un argomento di scienze o di storia oggi è una strada non più percorribile? È errato? Spesso ciò che è utile per un alunno con BES è utile anche per il resto della classe. In quest’ottica la proposta didattica può non essere direzionata solo a quel singolo alunno, ma può diventare occasione per essere condivisa anche con il resto della classe che ne trarrà giovamento.
Un esempio concreto: se ad un’alunna occorrono i colori per comprendere le varie parti di una proposizione, perché introdurre solo per lei tale metodologia? Il docente la adotterà per tutti, sapendo che a lei in modo particolare sarà molto utile. All’interno dei nostri istituti scolastici ci sono già molti docenti che utilizzano tutto ciò nella loro quotidiana didattica con attenzione e professionalità. Questo non implica stravolgere obbligatoriamente la propria metodologia, ma aiuta ad acquisire una maggior consapevolezza circa gli strumenti che si decide di adottare di volta in volta. Se si tiene sullo sfondo tale orizzonte di attenzione e di cura peculiare per ciascuno, ogni proposta didattica ed educativa sarà sempre inclusiva ed efficace e permetterà a tutti di sentirsi coinvolti nel proprio percorso di crescita, oltre a contribuire a far crescere un senso di comunità senza sottolineare nuovamente e solamente il mero individualismo. Forse una nuova pista da esplorare potrebbe riassumersi con l’espressione: “A tutti e a ciascuno”?
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