Dopo aver seguito con un po’ di ansia e preoccupazione l’iter parlamentare, come scrivevo nel mio ultimo articolo, il decreto legge 22 giugno 2023, n. 75 detto PA2, contenente l’emendamento che permetterà ai precari di scuole statali e paritarie, con almeno tre anni di servizio, di poter stabilizzare i loro rapporti di lavoro, è infine diventato legge.
La conversione in legge ha avuto l’approvazione in prima lettura alla Camera il 31 luglio e in seconda lettura al Senato il 3 agosto scorso. Obiettivo raggiunto, con un giusto ringraziamento al ministro per la determinazione mostrata nel voler conseguire il risultato, superando le inevitabili difficoltà e gli ostacoli incontrati nell’iter parlamentare.
Il risultato è stato accolto, giustamente, con particolare gradimento dal network “Ditelo sui tetti” che ha avuto un ruolo primario nell’operazione, fin dal suo nascere nel convegno organizzato dal il 5 giugno scorso a Milano, convegno in cui il ministro Valditara aveva preso impegno di portare a soluzione l’annoso problema.
“Soddisfazione per l’approvazione in Commissione alla Camera dell’emendamento che elimina la discriminazione verso i docenti delle paritarie” titolava il comunicato stampa, cui è seguita un’intervista a una dei fondatori, Elena Fruganti, in cui si evidenzia il valore sociale della norma affermando: “sanata una discriminazione, sanata una grave sacca di precariato”.
La discriminazione primaria, come spesso ho ripetuto, consiste nel fatto che da otto anni non si dava più occasione ai docenti delle scuole paritarie di potersi abilitare, cui si aggiunge l’aver sanato una seconda discriminazione, poiché la norma offre uguali agevolazioni ai precari coinvolti, siano essi statali o di scuola paritaria, ossia di ottenere l’abilitazione con la metà dei crediti formativi universitari (Cfu) normalmente richiesti, ovvero 30 anziché 60.
L’intervistata dà anche una stoccata alla Cgil che, a differenza di altri sindacati, invece favorevoli, aveva mosso critiche all’emendamento in questione, critiche che hanno suscitato perplessità, affermando: “se il sindacato ha a cuore l’interesse dei lavoratori non può che essere soddisfatto della possibilità di stabilizzare 15.000 persone, che possono finalmente avere la garanzia di un futuro certo per sé e per le proprie famiglie”.
Nel concreto la norma prevede l’agevolata riduzione a 30 Cfu per il conseguimento dell’abilitazione per i docenti che hanno svolto servizio, pariteticamente, presso le istituzioni scolastiche statali o presso le scuole paritarie per almeno tre anni, anche non continuativi, nei cinque anni precedenti, di cui almeno uno nella specifica classe di concorso per la quale scelgono di conseguire l’abilitazione.
L’impostazione della norma comporta per i docenti delle paritarie un vantaggio non da poco, ossia che potranno mantenere il loro servizio nella scuola in cui sono assunti e non saranno costretti a lasciare le loro scuole per abilitarsi, come invece accadeva con i concorsi, che vincolavano il conseguimento dell’abilitazione allo svolgimento di un anno di lavoro esclusivamente nella scuola statale.
L’emendamento approvato contempla, molto opportunamente, anche una norma di sicurezza per le scuole paritarie prevedendo un periodo transitorio, con durata fino all’andata a regime del sistema ordinario di abilitazione che partirà a settembre.
Le scuole potranno assolvere all’obbligo del requisito dei titoli previsto per gli insegnanti dalla legge 62/2000 anche con docenti non abilitati, ma che abbiano tre anni di esperienza di insegnamento nei dieci anni precedenti.
Obiettivo raggiunto, dunque, ma affinché la missione sia compiuta e i 15mila precari possano conseguire l’agognato titolo di abilitazione occorre che, con la stessa rapidità e decisione, si avvii la parte attuativa, curando gli aspetti organizzativi, determinanti per la buona riuscita nei giusti tempi dell’azione che porti all’ambìto risultato.
Occorre non dare niente per scontato e contiamo sempre sulla determinazione del ministro Valditara a volerlo portare concretamente in porto.
Aggiungo solo un breve commento sul dibattito, apertosi in questi giorni, alla presentazione di un dossier sui “diplomifici”. Sicuramente bene ha fatto Tuttoscuola.it ad elaborare il dossier, utilizzando i dati pubblici in possesso del ministero, riproponendo all’attenzione dell’opinione pubblica un triste ed annoso problema, nella speranza che porti alla consapevolezza di quanto sia necessario intervenire contro le azioni illecite nei cosiddetti “diplomifici”.
Occorre, come l’esperienza insegna, curare anche con attenzione che i “soliti detrattori” della scuola paritaria non colgano l’occasione per prendere fiato e ricomincino a “fare di ogni erba un fascio”, con il rischio di deturpare, falsamente, l’immagine della scuola paritaria che, da sempre, lavorando seriamente sulla qualità delle prestazioni ha svolto un servizio complementare e sinergico a quello offerto dalla scuola statale, anche con proposte innovative e d’avanguardia che hanno permesso di combattere efficacemente il problema della dispersione scolastica e di contribuire a proporre una scuola più inclusiva.
Fortunatamente ci sono state reazioni positive, a partire dal ministro, utili a fare muro per dare una informazione corretta. Non dimentichiamoci, tra l’altro, che i “diplomifici” rappresentano una piccolissima percentuale di scuole paritarie.
È un vecchio problema e i primi a chiedere una soluzione sono proprio gli operatori della scuola paritaria, come ben esprime un comunicato dell’Aninsei nelle parole del suo presidente Sepiacci. Tecnicamente la via da seguire sembra semplice (oltretutto, come detto, i dati presi per il dossier sono i dati pubblici del ministero), ma il fatto che lo stesso ministro abbia ricevuto minacce e insulti dopo la presa di posizione contro questa situazione, rende evidenti le difficoltà cui dovrà andare incontro.
Confidiamo che usando la stessa determinazione mostrata per portare a soluzione il problema dell’abilitazione dei docenti precari, riuscirà anche in questo caso a trovare l’auspicata soluzione e non si può che plaudire alla già avviata iniziativa ministeriale che vuole sopprimere tutte le forme di abuso.
Una soluzione radicale, a mio avviso, potrebbe essere l’abolizione del valore legale del titolo di studio dando, come avviene già in molti Paesi, un forte valore selettivo agli esami di accesso ai percorsi successivi, una modalità che ha il pregio di spingere lo studente ad una preparazione seria in funzione alla carriera di studio e/o di lavoro cui ambisce, con il risultato di ridurre il diploma ad un attestato che, senza un buon livello di preparazione, perde il suo valore e di conseguenza renderebbe inutile la caccia al suo conseguimento ed ogni forma di illegalità. Un percorso sicuramente complesso, ma che credo meriti un’approfondita riflessione.
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