L’adolescenza è diventata la magica e sin troppo abusata rappresentazione di tutte le questioni irrisolte che si generano nella relazione educativa. Incontri per i genitori, manualistica di settore, istruzioni per l’uso insistono sulla enigmaticità del mondo adolescenziale. L’adolescente è inafferrabile perché ha comportamenti che destabilizzano le serene certezze degli adulti. Il loro disagio ci turba e ci costringe a rivedere schemi ormai logori. Il peggiore degli errori però sarebbe quello di rinchiudere riduttivamente l’adolescenza alla pari di un fenomeno che può essere studiato, capito, analizzato e inquadrato.
La crisi dell’adolescenza mostra tutto il dramma della nostra società e della sua faticosa ricerca di riferimenti stabili e della necessità di difendere una Legge e un senso. Non si tratta di ristabilire la normalità, che attualmente non è che omologazione, determinata dal mercato dei consumi e delle immagini narcisistiche e artefatte dei social. Bisogna entrare nelle pieghe di questa presunta normalità cercando di raccontare come i nostri ragazzi siano a proprio “agio nel disagio”, un disagio in cui li teniamo volentieri nel timore che si perdano e che il loro fallimento ci destabilizzi.
Si rilevano alcuni errori o, meglio, alcune perversioni che impediscono agli adolescenti di suggerirci come essere incontrati. Quali gli elementi critici, appunto di “disagio”, che, se non affrontati adeguatamente, cioè con verità e autenticità, rischiano di portare noi fuori strada e di impedire a loro di vivere pienamente questa straordinaria età della vita?
I nostri figli (siano degli Edipo, dei Telemaco, dei Narciso), dall’origine del mondo si mettono alla prova nell’avventura obbligatoria e senza ritorno della crescita, senza la quale non si acquista identità. Dietro quali mistificazioni si elude sbrigativamente la sofferenza e la tristezza dei giovani?
Siamo di fronte a una società che si racconta attraverso sintomi nuovi, che esigono nuove cliniche e non classificazioni asettiche, una società che esige nuovi interventi fondati sull’importanza della relazione e del legame. Il disagio dei nostri figli (i loro ritiri, i loro isolamenti, le loro trasgressioni, le loro fughe nel virtuale, le loro malinconie, le depressioni e le violenze che si fanno sottraendosi e rifiutando cibo e affetti) sono sintomi che raccontano un’epoca. Anzi, potremmo meglio dire, è un’epoca che produce esattamente questi sintomi e che ha queste connotazioni, perché sono il risultato delle riduzioni che ai nostri ragazzi continuamente propone.
In questo senso la scuola, forse, è il luogo elettivo dove è possibile ricomporre la frammentazione fra le generazioni e dove il conflitto può essere percepito come positivo e costruttivo. È necessario che ci si risvegli dall’assenza di proposta educativa e che si sperimentino azioni virtuose ed imitabili.
Ma l’argomento che in modo particolare ci tocca come adulti, come educatori e come psicoterapeuti è ricostruire i legami. Non esiste salute psicologica se non all’interno delle relazioni.
Siamo schiavi di una narrazione dell’affettività che si alimenta di uno stucchevole e improduttivo dibattito ideologico dove coscienza e moralità individuale si sono totalmente perse, sostituite dalle necessità della politica di trovare argomenti di contrapposizione. È un cambiamento di mentalità e di sguardo nei confronti del disagio adolescenziale. Quali riflessioni, quali risposte, quali prospettive possono contribuire a far diventare la proposta adulta convincente? È esattamente questo il tema dell’incontro, lasciarsi interpellare dal disagio, cercare di comprenderlo e di dargli senso senza eluderlo con risposte precostituite e improduttive, ma vivendolo come una preziosa opportunità di vita e di verità.
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