“Gli uomini amano inventare mostri e mostruosità. Così hanno l’impressione di essere loro stessi meno mostruosi”. È una citazione di Andrzej Sapkowski tratta dal suo libro Il guardiano degli innocenti in cui il protagonista Geralt, uno strigo mercenario, vive uccidendo altre creature malvagie. Anche chi lo assolda ha paura di lui, ma Geralt stesso ha imparato a non fidarsi degli uomini. Ha scoperto che spesso gli uomini sono addirittura peggiori delle creature malvagie a cui dà la caccia, essi nascondono le loro azioni becere dietro al bene comune, al buon senso o a delle superstizioni. Guardando lo spaccato che il regista Stefano Cipani ha mostrato al cinema attraverso il suo film Educazione fisica non ho potuto non accostare le due narrazioni.
Situazioni verosimili ma che rivelano un mondo adulto spezzato. Non solo frammentato e frammentario, senza un orizzonte comune che fino a qualche lustro fa poteva essere il rispetto di un ruolo implicito e autorevole della scuola, il peso del concetto di famiglia, di comunità, come pure un senso comune di cittadinanza, ma anche fatto a pezzi. Un mondo familiare inserito in una realtà complessa, altamente aggressiva, performante, competitiva, in cui è davvero difficile rimanere genitori e adulti uniti e unitari.
Forse è qui che ha radice la fatica di accogliere le malefatte dei propri figli. Di fronte ad episodi di bullismo, cyberbullismo, aggressioni, scherzi che prendono derive impensate e impreviste, il mondo della famiglia fatica a prendere posizioni salde. Spesso anche davanti all’evidenza non si ammettono le colpe dei propri figli. È davvero difficile credere di sentirsi così poco efficaci o pensare di non aver fatto centro in un sistema che spinge ostinatamente in direzione opposta.
Purtroppo, però, è esperienza quotidiana, come si vede nel film appunto, incontrare genitori che difendono ad ogni costo ogni errore, fino ad arrivare, nei casi estremi, a modificare, a distorcere la realtà o a far finta di non vedere. Nel film addirittura la realtà viene inventata a tavolino pur di uscirne tutti vincenti o con meno danni possibili, pronti a soppesare il valore delle vite degli altri, a sacrificarle. Meglio feriti che morti. La responsabilità sembra essere un fardello troppo pesante. “Gli uomini amano inventare mostri e mostruosità. Così hanno l’impressione di essere loro stessi meno mostruosi”.
L’altra pennellata che mi colpisce, che mi fa soffrire molto e che tiene insieme nuovamente le due narrazioni iniziali è accorgermi di come il mondo adulto fatichi a sentirsi cor-responsabile. Si arranca così tanto nel provare a direzionare amorevolmente i propri figli, da dimenticare che anche i figli degli altri mi dovrebbero stare a cuore. Forse è necessario riscoprire la bellezza che c’è nell’assumersi la responsabilità di prendersi cura anche di ciò che accade all’altro. Oneri e onori, senza deleghe, occhi chiusi, spalle girate.
Gli adulti sono in difficoltà. Rimanere come quegli scogli, saldi, in riva al mare, sembra oggigiorno un atto eroico e riservato a pochi apparentemente superdotati, e per questo a volte criticati. Forse è necessario uscire dal concetto di colpa, di sentirsi in colpa o di sentirsi sempre sotto accusa, attaccati o incapaci, ma c’è da ridonare ai genitori la bellezza del loro ruolo.
A tutto il mondo adulto è necessario riconsegnare l’importanza del proprio ruolo educante. Senza le famiglie, senza la scuola, senza una società, senza l’unità nell’adultità, non è possibile educare pienamente i nostri alunni, i nostri figli, i nostri giovani.
Magari questo tempo così fatto a pezzi e che sembra fare a pezzi ciascuno di noi, può rivelarsi un’occasione per fermarsi, osservarsi in modo critico ma amorevole e ri-scegliere come costruire il futuro nostro e di tutti i figli che ci vengono affidati.
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