Con due autorevoli interventi si è aperto recentemente su queste pagine un dibattito sull’Alta formazione artistica e musicale; è stata una scelta editoriale benemerita, dal momento che si tratta delle istituzioni da cui escono le future generazioni di artisti e in cui si dovrebbero formare “quadri dirigenziali e figure professionali a tutti i livelli per il settore delle imprese culturali e creative” come nota Dario Giugliano, ricordando quanto questo settore sia strategico per la nostra economia. 



Si tratta però di un mondo variegato, cui a parere di molti non è stata data l’importanza che si meriterebbe. Parliamo di 159 istituzioni (86 statali e 73 non statali): 20 Accademie di belle arti,18 Accademie legalmente riconosciute, 59 Conservatori di musica statali, 18 Istituti superiori di studi musicali non statali, 5 Istituti superiori per le industrie artistiche statali, 1 Accademia nazionale di danza, 1 Accademia nazionale di arte drammatica, 37 altri soggetti privati autorizzati a rilasciare titoli Afam con valore legale. 



Quel che colpisce è l’alto numero di istituzioni private (tra accademie legalmente riconosciute e istituzioni di ambito musicale, artistico, coreutico e drammatico con corsi accreditati), che danno all’Afam il particolare carattere di sistema misto. Si tratta di numeri destinati a cambiare con la statizzazione ormai imminente degli istituti superiori di studi musicali e delle accademie storiche; dovrebbero a quel punto essere 109 le istituzioni statali e 50 le private. Ma il carattere misto non cambia e rappresenta la specificità dell’Afam, tanto più evidente se si confronta il numero degli studenti: a fronte di 80mila iscritti nel complesso delle istituzioni Afam, gli studenti iscritti nelle istituzioni non statali sono 21mila (al netto degli studenti degli istituti superiori di studi musicali e delle accademie storiche). Nell’Afam quindi uno studente su quattro studia in una struttura privata. 



Questa peculiare condizione, fonte della vivacità e del dinamismo che distinguono il profilo attuale dell’Afam, ha avuto un incremento decisivo nell’ultimo decennio e di ciò va dato merito al ministero. Una simile situazione è garanzia di crescita, come sempre nel confronto pubblico-privato, purché venga governata e governata con la necessaria duttilità. A questo fine il ministero ha due strumenti, l’Agenzia della valutazione (Anvur) e il Consiglio dell’alta formazione (Cnam) appena insediato: con il loro supporto sinergico si potrà avviare un’azione di ordinato governo del sistema, che ne valorizzi le eccellenze, presenti sia nel pubblico che nel privato, innalzando la qualità complessiva senza snaturarne le peculiarità.

L’azione attenta del Cnam, con il concento delle sue diverse sensibilità ed esperienze, potrà garantire questa armonica evoluzione, tanto più in vista delle imminenti “sfide” che aspettano l’intero comparto, dal reclutamento alla programmazione, alla revisione dei decreti, ai modelli didattici, per i quali ultimi faccio mie le parole di Paolo Troncon (rivolte ai Conservatori, ma estensibili all’intero sistema): “Il nuovo modello didattico non sempre ha ampliato, come previsto, le conoscenze impartite allo studente utili alla ricerca di una occupazione. Anzi talvolta il modello è diventato controproducente dal punto di vista professionale”. 

Per questa come per tutte le altre “sfide” il confronto e la collaborazione pubblico-privato saranno garanzia di riuscita e quindi di progresso del sistema Afam, perché offra agli studenti una formazione sempre più variegata e di qualità, che ne confermi l’attrattività internazionale e rinforzi quella “economia della bellezza” che rappresenta un carta vincente per il nostro Paese.