Ahmed non aveva capito, il messaggio del suo insegnante non era chiaro. Lui stava partecipando ad un corso di recupero di matematica e di fatto gli venivano assegnati esercizi e pagine da studiare.  

Ahmed, da anni in Italia, non aveva voluto accettare passivamente la situazione, aveva invece prima provocatoriamente commentato ad alta voce: “ma questo non è un corso di recupero?” per poi chiedere esplicitamente all’insegnante di aiutarlo a capire dove sbagliava, così che potesse correggersi e risolvere i problemi che lo mettevano in difficoltà.



“Tu pretendi che io presti attenzione solo a te? E gli altri? Qui siete in dieci, non posso dar retta ad ognuno di voi” era stata la risposta dell’insegnante, seccato per quella che riteneva una pretesa.

“Quindi? Se io non capisco, se non riesco, devo arrangiarmi? Cioè lei mi fa il corso di recupero in cui se sono capace recupero, altrimenti rimango al palo, incapace di risolvere i problemi matematici a giugno e ancor più a settembre! Mi spiega perché mi fa il corso di recupero?” aveva replicato Ahmed.



“Ti faccio il corso di recupero perché tu non hai studiato durante l’anno!”. Questa era stata la risposta del suo professore, una risposta che non significava nulla, ma che aveva dentro un messaggio che Ahmed percepiva ma a cui non voleva arrendersi e quindi rimuoveva dalla coscienza.

Amareggiato, Ahmed aveva trascritto per un’ora pagine e pagine di regole a lui del tutto incomprensibili e al suono della campanella se ne era uscito dalla classe salutando in modo secco l’insegnante che aveva risposto meccanicamente.

Era il primo anno che Ahmed aveva un debito, non era una tragedia. Un debito si poteva saldare senza troppi problemi, a lui però interessava usare questo tempo estivo per colmare le sue lacune così da poter affrontare il nuovo anno con una base finalmente solida. Ahmed era convinto che i corsi di recupero lo avrebbero aiutato in questo, si era però scontrato con un meccanismo che faceva fare a tutti gli stessi esercizi e in realtà non aiutava nessuno.



Giulio, anche lui con il debito di matematica, aveva visto l’amarezza di Ahmed e gli aveva detto di non farsi venire il sangue cattivo, importante era essere promossi. Capire o non capire non era il problema, come vincere una partita all’ultimo minuto con un rigore ingiusto. Importante era vincere, che poi non fosse rigore chi se ne importava!

Ahmed aveva risposto a Giulio che anche lui voleva essere promosso, però voleva anche imparare a risolvere gli esercizi di matematica.

Tornato a casa, sempre più intrattabile, Ahmed aveva pranzato velocemente, poi aveva salutato mamma, papà e fratelli per andarsene di nuovo, lui sapeva bene dove.

Il centro di aiuto allo studio era aperto, anche se per metà. Funzionava solo per i ragazzi e le ragazze che avevano il debito. Ahmed era entrato con decisione, la segretaria lo aveva fermato, gli aveva provato la temperatura, gli aveva fatto sanificare le mani e poi lo aveva richiamato a tenere la mascherina.

“Chi cerchi?” gli aveva chiesto la segretaria.

“Il prof di matematica” le aveva risposto Ahmed indicandole l’aula dove andare, così la segretaria gli aveva dato il via libera.

“Come mai qui?” gli chiese il prof di matematica appena lo vide. “Non sei al corso?”

“È finito, ma non serve a nulla, so che cosa devo studiare e quali esercizi fare, il corso è tutto qui!” fu la risposta.

L’insegnante di matematica aveva capito. Non fece nessun commento, disse ad Ahmed di sedersi e di fargli vedere ciò che doveva preparare per settembre. Ahmed tirò fuori dallo zaino dei fogli stropicciati e li mise sul tavolino. L’insegnante li sbirciò, poi disse ad Ahmed: “Va bene, lavoriamo insieme e vedrai che imparerai un metodo così da diventare autonomo”.

Era ciò di cui Ahmed aveva bisogno. Non un programma da svolgere, ma una mano tesa ad aiutarlo.

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