Martedì 27 febbraio. Appena giungo nella via della mia scuola, il Liceo Classico Manzoni di Milano, vengo a sapere, come già immaginavo, che vi sarà un picchetto, ovvero che bloccheranno momentaneamente l’entrata a scuola al fine di preparare gli spazi interni del liceo per l’evento che da settimane è sulla bocca di tutti: l’occupazione.
Il picchetto dura poco, solo un quarto d’ora, quindici minuti durante i quali centinaia di studenti sono costretti a restare sotto l’acqua, chi sui marciapiedi, chi, addirittura, non essendoci spazio su questi, in strada.
Una volta entrati, subito veniamo accolti da voci di ragazzi che ci “invitano” a recarci in palestra per assistere all’assemblea in cui democraticamente si sarebbe deciso se occupare o no; per convincerci, una quindicina di ragazzi sono schierati sulle scale che danno accesso ai corridoi delle aule, impedendo l’accesso a eventuali disertori.
Ci dirigiamo dunque verso la palestra e subito mi cade l’occhio su quattro banchi che, legati tra loro con delle fascette, sono a ridosso della porta che dà sul cortile, per bloccare l’uscita dai corridoi; più tardi vedrò anche sedie incastrate sulle maniglie delle porte e sentirò dire pure di catene applicate per sigillare l’entrata ai piani superiori, dove in quel momento stanno i professori.
La scuola di fatto è già occupata: i ragazzi stanno preparando i collettivi e sono già state costruite le barricate, ma noi stiamo andando in palestra per votare se fare l’occupazione o no! Cosa potrebbe succedere se dopo tutte le aspettative create si decidesse di fare lezione?
Quasi impossibile che succeda.
In palestra, infatti, dove molti studenti violano le più elementari norme di divieto di fumo (va comunque detto che le finestre sono spalancate), dopo più di mezz’ora passata ad ascoltare le hit di Sanremo, ecco che il rappresentante d’istituto prende il microfono e pronuncia un discorso tecnicamente perfetto ed emozionante, esaltando la necessità di creare in noi un bagaglio di ricordi positivi che rimangano poi indelebili nella nostra memoria, proponendo di fatto l’occupazione come un’esperienza di vita.
All’inizio dell’assemblea, colpo di scena, un ragazzo del collettivo che si trova seduto ai tavoli dei rappresentanti, sviene! Tutti reagiscono con una risata ma dopo pochi minuti arriva una collaboratrice scolastica, visibilmente preoccupata, la quale chiede se il diretto interessato, che lei non conosce, stia bene o necessiti di cure.
“Stiamo tutti bene!”, è la risposta compatta degli organizzatori.
La collaboratrice se ne va, ma ritorna accompagnata da una prof e pone nuovamente la stessa domanda, ma ancora le è impossibile capire chi sia stato male.
Oltre a questo episodio mi giungerà poi voce che una ragazza della prima classe è svenuta e ha avuto un attacco di vomito; una loro professoressa ha cercato di raggiungerla per farla salire in infermeria, e al momento di passare il blocco sulle scale si è pure sentita gridare: “Come si permette di fare questo, prof!”. In questo caso chi è “l’oppressore”? L’insegnante che appartiene al “tremendo e repressivo” sistema scolastico, oppure quegli studenti che in nome della “libertà” impediscono con la forza l’accesso ai piani superiori della scuola?
In palestra si susseguono poi numerosi interventi che espongono i motivi dell’occupazione: protesta contro il sistema scolastico, contro il Governo e la “repressione” esercitata nei confronti dei giovani (non manca il passaggio sui fatti di Pisa e di Firenze, ma tacendo che chi ha voluto manifestare in modo non violento non lo ha potuto fare, cosa che non sembra interessare a nessuno) e sostegno al popolo palestinese, che molti ragazzi aiuteranno fumando canne, ubriacandosi e rovinando i muri della scuola con scritte tipo “ciao sono stato qui”, se va bene, e se va male, incitazioni di “morte ai fascisti” e, se proprio va malissimo, bestemmie; molti, inoltre, come si potrà poi constatare, daranno una mano per risolvere i problemi del mondo facendo i barbieri, cucinando hot dog con piastra alla griglia e, soprattutto, giocando a calcio tutto il giorno o facendo indimenticabili partite a “Browl Stars”!
Ovviamente vi sono anche coloro che, dopo aver passato quattro mesi a preparare l’occupazione (che peraltro deve ancora essere votata) desiderano veramente che questa sia per i propri compagni un’esperienza di vera “coscienza” e sono proprio questi che nell’ora e mezza di assemblea si impongono con le loro argomentazioni su centinaia di studenti il cui solo obiettivo è non fare lezione.
L’assemblea, nel frattempo continua. Il messaggio che arriva da uno degli organizzatori di fatto è questo: non sentitevi in colpa e non temete di votare a favore dell’occupazione, perché quest’anno i professori li teniamo fuori dall’edificio, le lezioni sono sospese e quindi quelli non vi possono “minacciare”!
Danno per scontato che la gente voterà a favore e, anzi, trovano strano che qualcuno voglia votare contro.
Ovviamente dopo queste lunghe argomentazioni, si dà spazio alla “libera” scelta: “Su le mani chi è contro!”. Cioè: ritorno al voto palese, proprio un classico dei regimi democratici più raffinati!
Quattro studenti alzano la mano, accompagnati da ammiccamenti e risatine.
“Su le mani chi si astiene!”.
“Su le mani chi è a favore”: un boato di consenso.
Iniziano le danze.
(Uno studente del Liceo Classico Manzoni di Milano)
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