Alessandro non aveva voglia di riprendere la scuola in presenza, era uno di quei tanti ragazzi e ragazze che avrebbero preferito continuare la scuola in Dad, e non per una ragione didattica, ma semplicemente perché rimanere a casa davanti ad un computer era più comodo.
Dopo qualche resistenza psicologica, senza atti di ribellione esplicita, Alessandro aveva accettato la situazione ed era tornato in classe: nessun entusiasmo, nessuna novità, ma una routine da riprendere e un meccanismo inceppato da riattivare.
I primi giorni di scuola erano stati disastrosi, Alessandro era già stanco di una scuola che aveva solo due preoccupazioni: la prima, che tutte le regole fossero rispettate con una prontezza da manuale. E la seconda, che si doveva recuperare il tempo perso per colpa del Covid.
“Non c’è spazio per me” aveva detto un pomeriggio Alessandro ad un volontario del Centro dove andava per essere aiutato in matematica e qualche volta in italiano.
“Cercalo questo spazio!” gli aveva risposto il volontario in modo diretto, senza dar adito alle sue lamentele.
“Non so come fare” aveva ribattuto Alessandro. “Oggi la scuola sembra come la catena di montaggio di Charlie Chaplin in Tempi moderni.”
“Dove hai preso quest’immagine? Mi meravigli!”
“Ho visto il film, piace molto a mia madre e me lo ha fatto vedere contro la mia volontà, poi mi è piaciuto, questo Chaplin è un genio.”
“Catena di montaggio? Sei sicuro? Non è che tu esageri e vuoi solo scappare?” lo aveva stretto alle corde il volontario.
“No, no! fidati di me, è così. Io devo inserirmi in un processo che funziona perfettamente, per cui se faccio qualcosa di diverso lo inceppo e mi arriva il cartellino giallo. No, meglio la Dad, se questa è presenza meglio che non ci sia!”
“No, non è possibile, vi sarà pure questa tendenza, ma ogni meccanismo è imperfetto, c’è sempre uno spiraglio che mette in azione la libertà. Mi sa che sei tu a non essere attento e non cogli la possibilità che anche a scuola vi è per te.”
“Invece è come dico io – insisteva Alessandro cambiando tono di voce per tentare di convincere il volontario – è così e lo sai perché me ne rendo conto?”
Il volontario a questa domanda si era incuriosito, voleva proprio sapere la ragione per cui Alessandro era così rigido sulla scuola. Gli aveva fatto cenno con il volto di continuare. Che cosa gli dava certezza che a scuola prevaleva il meccanismo sull’umano?
“Che qui, con voi, io sono preso sul serio, qui vale la mia libertà, non che funzioni perfettamente il meccanismo!”
Il volontario aveva ricevuto un contraccolpo da questa osservazione, ora doveva credergli, era l’acume dell’esperienza e su questa non si poteva dubitare, il suo valore era ineccepibile.
“Per questo ti dico che non vi è spazio, perché voi mi avete fatto vivere e mi fate vivere un luogo dove prima delle regole ci sono io.”
“Lo devi cercare anche a scuola, questo spazio per te vi è anche a scuola. Non partire domattina dal pregiudizio che tra i banchi e sulla cattedra non c’è, ma apri gli occhi e vedi di intercettare l’umano che si muove. Domani fai così, vedrai che qualcosa succederà!”
Alessandro aveva guardato il volontario negli occhi e poi gli aveva detto: “io vorrei avere dentro la classe un’amicizia così!”
“C’è, ogni tuo compagno e ogni tuo insegnante hanno nel cuore la tua domanda, vogliono uno spazio per il proprio io, desiderano uno sguardo di simpatia. Quello che hai trovato qui lo puoi trovare a scuola, c’è bisogno che lo cerchi. Senza la tua sete non lo potrai trovare. Domani non partire dai dubbi o dall’istintivo rifiuto delle regole, guarda in faccia compagni e insegnanti, vedrai lo spiraglio ti si aprirà improvviso”.
“Come fai ad essere così sicuro?”
“Perché questo spiraglio qualcuno lo ha aperto in me. E anche in te.”
Alessandro se ne era andato con un compito che non era più una corsa ad ostacoli, ma semplicemente quello, così pareva, di essere se stesso. Aveva trovato uno per cui era certo che il meccanismo si inceppasse per il sussulto dell’umano. E lui, che l’umano lo aveva colto in uno sguardo, a scuola adesso lo doveva riscoprire.
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