Negli ultimi anni il numero di alunni fragili nella scuola sta aumentando in maniera esponenziale e tra questi emerge prepotentemente una nuova categoria: quelli che non vengono ammessi alla classe successiva per mancata frequenza. Il malessere dei ragazzi e delle ragazze non viene diagnosticato dal punto di vista medico, si tratta piuttosto di un disagio “sociale” unito spesso ad un’incapacità a mantenere la concentrazione ed un grave disinteresse per gli argomenti proposti. Le famiglie non si dimostrano in grado di sostenere i figli, di trasmettere loro i valori essenziali, di educarli ad un compito e si dichiarano disarmate ed impotenti durante i colloqui con i professori, chiedendo consigli ed indicazioni su come operare.



Spesso il malessere nasce dalla mancanza di regole chiare, dall’incapacità a mantenere un impegno, dalla scarsa resistenza alle frustrazioni, dalla difficoltà a gestire l’ansia da prestazione. Inoltre vi è un gran numero di alunni del primo ciclo che arriva ad abbandonare la scuola. Si comincia con una ripetenza, poi due, fino al punto in cui continuare a frequentare, con i compagni molto più piccoli ed il carico di lavoro ormai insormontabile a causa delle lacune accumulate, diventa improponibile e si decide di lasciar perdere.



Questo accade perché la rigidità del sistema scuola stritola come in una morsa i soggetti con più difficoltà, che giorno dopo giorno sono sempre più distanti dai compagni e dalla vita di classe e non tengono il passo. Nell’azione educativa non vanno considerati esclusivamente obiettivi di conoscenze da raggiungere, ma anche e soprattutto relazioni umane, spazio per sperimentare di che pasta siamo fatti, per scoprire quali talenti possieda ciascuno e la possibilità di realizzarsi in un modo o in un altro. Capita che alcuni docenti riescano a cogliere il lato umano, intravvedano le abilità nascoste (dando loro credito) e si creino legami importanti, e si instauri una sorta di fiducia reciproca. Spesso questo non basta però a trattenere chi si sente abbandonato e gli spiragli intravisti non sono sufficienti per costruire un percorso duraturo e proficuo.



Certi fili che si ritenevano spezzati, però, talvolta insperatamente si riannodano. Alcuni studenti inesorabilmente si perdono, ma capita anche che si riesca a recuperarli. È accaduto l’estate scorsa, quando un paio di alunni incontrano una prof in stazione, e, con sua sorpresa, le manifestano il desiderio di riprendere gli studi interrotti, chiedendole di accompagnarli in un percorso che li porti a diplomarsi come privatisti.

Una bella sfida, che non può essere accolta in autonomia; serve infatti una rete efficace: la presenza di un dirigente scolastico lungimirante e coscienzioso, docenti comprensivi disposti ad accogliere candidati esterni all’esame di Stato. Così viene organizzata un’agenda di incontri nei locali della biblioteca comunale in cui prepararsi, programmi alla mano. Grazie a una relazione educativa individuale in cui i tempi, le strategie e gli obiettivi si definiscono in base alle esigenze personali, si costruisce un percorso di recupero di abilità che si credevano perdute.

Le difficoltà sono state numerose, come le defezioni, e la prof stessa talvolta ha dubitato di arrivare in fondo, ma lo sguardo carico di fiducia, la presenza costante e il tempo dato gratuitamente per un bene evidente ha fatto procedere senza mollare il traguardo. Ed è arrivato il momento dell’esame: le prove scritte vengono affrontate con serietà e dignità ed anche al colloquio si dà prova di personalità, trovando una soddisfazione ed un riscatto altrimenti impraticabili.

Una bella storia che però rappresenta un episodio estremo e deve rimanere isolato. Se vogliamo realmente contrastare la dispersione scolastica è necessario trovare strade alternative, costruire percorsi flessibili per chi accumula insuccessi e non ce la fa. Occorre organizzare programmazioni più snelle, orari flessibili, un tempo scuola strutturato alternando le ore in classe con attività manuali e laboratoriali per non perdere questi elementi più fragili e in difficoltà. Vanno anche sostenute le famiglie che hanno perso autorevolezza, i servizi non arrivano a tutte le situazioni in emergenza, dunque si possono pensare percorsi efficaci appoggiandosi alle forze del terzo settore, che esistono e aspettano solo di essere coinvolte in progetti significativi e qualificanti.

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