Sono a Roma alle nove di sera di una calda, bellissima giornata di giugno, cioè di fine anno scolastico. Sono nella sala conferenze, un antico refettorio, dell’Oratorio di San Filippo Neri. Davanti a me un centinaio di persone venute alla presentazione del libro Lingua mortal non dice. Da Dante a Calvino (Ares, 2024). È la raccolta delle relazioni conclusive delle tante edizioni dei Colloqui Fiorentini, che ormai da ventiquattro anni si propongono alla scuola italiana come un momento di vera scuola.



Devo cominciare il mio intervento, ma ho voluto che prima di me prendessero la parola due studentesse, Anna e Chiara, che hanno partecipato all’ultima edizione dedicata a Pascoli. Non si può parlare dell’esperienza dei Colloqui Fiorentini se non a partire dalle parole di chi li ha vissuti e con la sua semplicità e immediatezza meglio ci comunica la natura reale di questa esperienza.



Padre Maurizio Botta, che da due anni ha scoperto i Colloqui Fiorentini, ha voluto introdurre l’incontro, perché dice – lui che insegna religione alle superiori, segue l’oratorio, fa catechesi e quindi ha quotidianamente a che fare con i giovani – che non si può svolgere un’attività educativa per i ragazzi, se non si conosce quello che studiano ogni giorno a scuola e soprattutto come lo studiano. Per cui, quando ha incontrato l’esperienza dei Colloqui Fiorentini, è tornato a Roma dicendo nella sua scuola e al suo dirigente: “Questo non è un metodo di insegnamento, ma il metodo, perché è l’unico umano. Ai Colloqui non devono venire solo gli insegnanti di italiano, ma di tutte le materie, anche di scienze motorie!”.



Ma torno alle studentesse e lascio parlare loro. Anna racconta di come una poesia di Pascoli in particolare l’abbia colpita, Il cane. “Sembrava che mi aspettasse, che fosse scritta proprio per me”, dice, “anche se sembrava così incredibile che pensavo di essere su Scherzi a parte”. Che strano, la stessa poesia che aveva tanto colpito una mia studentessa all’inizio del lavoro sui Colloqui, a settembre! La poesia parla di un carro che passa per la via e un cane gli corre intorno, abbaiando; ma il carro passa oltre e il cane se ne torna indietro sconsolato.

Anna commenta dicendo che tante volte ha visto carri passarle davanti agli occhi, ma non erano mai quelli che aspettava e i pochi giusti se li è visti sfilare via, senza riuscirci a salire. Poi prosegue: “Io ora un carro ce l’ho, è strano e di certo non mi aspettavo di riuscire a conciliarlo con me stessa. Invece è successo, un po’ per merito mio e un po’ per merito del carro stesso che si è avvicinato e, garbatamente, mi ha chiesto se volessi salire. Ma a me non piace parlare di meriti, preferisco le responsabilità. E allora mi chiedo, chi ha la responsabilità della mia corsa? Sicuramente, ciò che più si avvicina ad averla è la mia comunità, un insieme di persone che pur non conoscendomi inizialmente mi ha sostenuta. Mi hanno messo una penna in mano, e mi hanno detto ‘scrivi’; mi hanno messo un libro in mano, e mi hanno detto ‘leggi’; e in questo modo mi hanno fatto capire come ritrovarmi”.

Ecco cosa può essere una comunità di studio, ecco cosa può essere un’ora di lezione in classe, ecco cosa può accadere a scuola, cosa accade ai Colloqui!

Anna continua: “Mi hanno reinsegnato a camminare, così poi la corsa l’avrei fatta da sola. Piccoli passi, vicini e costanti. Da una poesia a una domanda, a una tesina, ad un convegno, alla scuola, alla vita!”.

Non ha bisogno di corsi di formazione didattica, Anna, per capire a cosa serve la scuola. Aveva bisogno solo di incontrare un professore che vivesse così il suo insegnamento e una comunità di discenti che facesse con lei questo cammino.

Ancora Anna: “La scuola in poco tempo per me si è trasformata nel posto in cui alcune persone, al mio pari, con lo sguardo come il mio, mi parlano di cose avvenute o che avverranno, mi parlano dei sogni degli altri, dei loro sogni. Sono scomparse le cattedre e i banchi. È scomparso il peso dei libri nello zaino, sono scomparse le amare valutazioni, è rimasto solo l’‘amare’. È rimasto lo sguardo di chi spiega, che cerca quello di chi ascolta e quello di chi ascolta, che cerca quello di chi spiega”.

E Chiara parla della stessa cosa, ma con altre bellissime parole: “Tutti i professori con cui ho parlato dopo l’esperienza dei Colloqui mi hanno detto che mi vedono cambiata, cresciuta da un punto di vista scolastico e personale […] in quanto persona che esiste e cresce”. E poi: “lo studio è attenzione a quel che è fuori di me al fine di comprendere ciò che è dentro di me, […] perché “il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta”, citando lo stesso Pascoli. E conclude: “Ed è per questo che, nonostante manchino sei mesi alla prossima edizione dei Colloqui, ho già iniziato a leggere, perché ho questa speranza che ogni autore possa cambiarmi la vita”.

Quando un ragazzo fa esperienza di cosa sia davvero l’incontro con un autore, non c’è alcun bisogno di predicare l’importanza dello studio. Spesso i docenti si sperticano in raccomandazioni sul valore della lettura (come se leggere fosse un valore in sé, a prescindere da cosa, da come e con chi si legga!) e regolarmente gli studenti non sanno che farsene di queste prolusioni. A Chiara nessuno ha detto cosa fare, ma ha già iniziato, mesi prima, a leggersi Pier Paolo Pasolini!

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