Il prossimo 9 maggio si chiuderà il cosiddetto Anno europeo delle Skills (European Year of Skills, EYoS), con il quale le istituzioni europee hanno voluto celebrare e mettere al centro dell’attenzione il mondo della formazione professionale e della formazione continua, con le sfide (e le opportunità) che in questo tempo lo caratterizzano. Ieri a Bruxelles la Commissione europea ha celebrato la chiusura con una conferenza internazionale e nel corso di questo evento mi ha chiesto di portare il mio punto di vista in quanto direttore esecutivo di EfVET, una delle principali reti europee della formazione professionale. Vorrei condividere alcune di queste riflessioni, nella speranza di veder nascere un dialogo tra gli stakeholders del settore.



Il contesto attuale della formazione e del mercato del lavoro è sempre più segnato da disruption: non solo una “naturale” innovazione dell’esistente (tecnologico e sociale), ma spesso una sostituzione totale dell’esistente, con cambi continui a velocità esponenziale (si pensi alla diffusione e implementazione di ChatGPT). Siamo entrati in quello che oggi viene chiamato VUCA World, acronimo che indica volatilità, incertezza (uncertainty), complessità e ambiguità. Se consideriamo anche l’attuale allungamento dell’età lavorativa, emerge ancora di più l’importanza della formazione continua per essere sempre in grado di stare davanti alle sfide nuove e complesse della realtà.



Sfide che richiedono di guardare oltre i confini europei. Come spesso richiamato da Pilvi Torsti, direttore dell’Agenzia Europea ETF, dobbiamo investire sempre più nel capitale umano dei giovani europei, e per questo occorre guardare a cosa accade oltre la UE: il nostro sviluppo non può prescindere da un’attenta consapevolezza delle opportunità e minacce che arrivano dal mondo in termini di tecnologia, sostenibilità, migrazione e, purtroppo, guerra. Ciascuno di questi aspetti (un elenco non esaustivo) meriterebbe un approfondimento ad hoc.

Davanti a questo scenario complesso, cosa insegnano le pratiche di successo nell’ambito della formazione? Dove investire? Jorge Arévalo, attuale ministro della Formazione professionale dei Paesi Baschi (un’eccellenza mondiale nella formazione) ha recentemente lanciato il nuovo piano di investimenti nel settore formativo parlando di Industry 5.0 come il momento storico in cui la tecnologia (robotica, intelligenza artificiale) incontra e dialoga con l’umanità dell’io. “El Desasfio del Ser Humano” (La sfida dell’essere uomo) è la sintesi della sua formulazione: quanto più la tecnologia permette avanzamenti, tanto più occorre investire nell’io inteso come domande sul senso della vita, capacità di profondità morale, cura della bellezza e del creato, apertura all’altro. Si tratta di quello Sviluppo Umano Integrale che guarda alla persona non solo come competenze tecniche, ma come soggetto di quelle non-cognitive skills che esperti come Dweck, Gendron, Heckman, Serban, Vittadini hanno evidenziato nel loro lavoro da diversi anni. E che diverse istituzioni internazionali quali UNESCO, UNEVOC, OCSE o organizzazioni come Karanga, SEE Learning hanno iniziato a mettere a tema nei loro lavori parlando di social-emotional learning (o well-being).



Questo nuovo sguardo al contenuto della formazione apre a due aspetti decisivi. Difficilmente l’emergere delle competenze socio-emotive avviene attraverso una loro teorizzazione o parlandone in classe: serve un’educazione (non solo formazione tecnica) che utilizzi la realtà come incipit dei processi formativi e come luogo della stessa verifica degli apprendimenti, perché l’io di chi apprende viene fuori più facilmente nell’incontro-scontro con la realtà (oltre che servire a verificarne le competenze tecniche). Formazione in assetto lavorativo (scuola-impresa, project-based learning), promozione di un’ottica ecosistemica nel sistema della formazione (si pensi in Italia al sistema ITS o al modello basco di Tknika), internazionalizzazione delle esperienze lavorative e formative, sono pertanto strade significative verso il traguardo del formare un adulto e non solo un lavoratore.

Un secondo aspetto è relativo non tanto e non solo alla preparazione di formatori, tutor e orientatori che sono già molto spesso pronti a mettersi in gioco ben oltre i rigidi “programmi”; si tratta piuttosto di domandarsi quanto vengano supportati sia in termini di investimento nella formazione continua, sia nell’accompagnamento socio-emotivo. In fondo la citazione attribuita a Pasolini che si educa non tanto a parole, ma con il proprio essere, richiama l’importanza che un educatore potrà testimoniare ai propri studenti una speranza nella vita di fronte alle sfide solo se la vive lui stesso. Come viene pertanto sostenuta questa posizione?

La chiusura dell’Anno delle Skills più che dare risposte sta contribuendo ad aprire processi di riflessione. Quanto più queste riflessioni saranno condivise e troveranno spazio, tanto più saremo in grado, come comunità, di aiutare l’attuale e prossime generazioni di studenti a stare davanti alla realtà e alle sue sfide.

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