I dati, pur senza essere esaustivi, ci obbligano a seguire un percorso che porti a una svolta in tempi ormai brevi. Nel 2017 in Canada la psicoterapeuta Victoria Prooday avvertiva che nei quindici anni precedenti (2002-2017) si era verificato un aumento epidemico di disturbi psicologici: problemi di salute mentale per 1 bambino su 5; disturbi dello spettro ADHD aumentati del 43%; tra i preadolescenti suicidi aumentati del 200%; tra gli adolescenti depressione aumentata del 37%. Nel 2005 in Francia lo psicanalista Miguel Benasayag e lo psichiatra Gérard Schmit rilevavano il diffondersi tra i giovani di patologie psichiatriche con epicentro nella tristezza. Nel 2021 in USA il 20% degli adolescenti mostrava sintomi di depressione maggiore. Dopo il lockdown in diversi Paesi europei la percentuale degli adolescenti con depressione è più che raddoppiata.



In Italia tra i 16-24 anni i fenomeni depressivi sono aumentati dal 14,4% del 2019 al 24,2% del 2021, cioè ne soffre 1 adolescente su 4. Nel 2023 1 adolescente su 10 faceva uso di psicofarmaci a scopo ricreativo e 54mila adolescenti sceglievano il ritiro dalla vita sociale, rinchiudendosi nella propria stanza per un tempo prolungato di almeno 6 mesi. Attualmente già a partire dalla scuola primaria sono in aumento stress, comportamenti aggressivi, stati depressivi (+28%) e stati d’ansia (+26%), a cui persino Pixar ha dedicato Inside-Out 2 in uscita a breve, mentre sono in diminuzione capacità attentiva e capacità di legame, sia amicale tra coetanei, sia di rispetto dell’autorità educante. Gli adolescenti tra i 14-19 anni manifestano sintomi di disagio nel 40% dei casi, con un notevole aumento di ricoveri per problematiche psichiatriche acute e disturbi alimentari.



In quest’ultimo mese alcuni servizi di accompagnamento psicologico dell’adolescenza hanno segnalato il diffondersi tra i giovani della disperazione. Se è vero che ogni 4 giorni una donna muore per i propri legami affettivi, è anche vero che ogni giorno si suicidano quasi 3 ragazzi (833 i casi nel 2023).

In più in Italia già tra gli 11-15 mesi di vita il 18% dei bambini viene esposto agli schermi per più di 1 ora al giorno. Durante la scuola primaria 1 bambino su 3 (era 1 su 5 prima della pandemia) usa abitualmente uno smartphone, frequentando anche i social. Tra gli 11-13enni il 78,3% naviga in rete ogni giorno, principalmente attraverso un proprio smartphone, e il 40,7% utilizza i social. In Europa 1 quindicenne su 4 trascorre più di 6 ore in rete tutti i giorni. La crisi di questa fascia d’età si è radicalizzata dal 2012 circa, quando i social sono diventati pervasivi e la vita dei ragazzi vi si è trasferita dentro. In aggiunta a rete e social media ci sono anche videogiochi, film, serie tv on demand e una certa musica (in quella rap 6 canzoni su 10 contengono espressioni violente contro le donne). Nel 2023 in Italia erano 700mila gli adolescenti dipendenti dalla rete. E purtroppo con i dati potremmo continuare.



L’essere umano è come un seme: ha bisogno di terra sufficientemente buona per crescere. Se la terra è avvelenata, il seme si ammala e muore. I bambini nascono sani; sono gli adulti ad avvelenare la loro terra. Lo si definisce disagio giovanile, come fosse un problema dei ragazzi, ma è solo la conseguenza inevitabile dei comportamenti messi in atto dagli adulti. Sono gli adulti a doversi mettere in discussione, come ha finalmente ipotizzato una mamma: “Forse genitori e insegnanti stanno sbagliando qualcosa. Anche noi adulti avremmo bisogno di supporto”.

Cosa fare? L’essenziale non è più procrastinabile da almeno un decennio. Il legislatore deve varare un disegno di legge a tutela dei primi mille giorni di vita del bambino, sui quali deve convergere l’impegno di entrambi i genitori (congedi parentali, aspettative, part-time, smart working, detassazioni, ecc.). Le aziende devono posticipare di mezz’ora le attività lavorative, perché i genitori possano accompagnare a scuola i figli, oppure organizzare diversamente la settimana lavorativa: c’è già chi ha cominciato.

Non sono le scuole a dover garantire uno sportello psicologico, ma i Comuni a dover mettere a disposizione gratuitamente i propri spazi, perché soggetti terzi possano autonomamente creare servizi multidisciplinari, finanziati da investimenti in donazioni da parte di banche, assicurazioni, multinazionali e grandi aziende, di supporto ai ragazzi e ai genitori, che vi devono poter accedere gratis (formazione in presenza e online, accompagnamento psicologico in presenza e online). I servizi potranno poi condividere le buone prassi su territorio nazionale e confrontarsi con soggetti di ricerca a livello internazionale.

I genitori devono accorgersi che il contesto di vita attuale è del tutto inedito storicamente e che quindi loro per primi devono dotarsi di strumenti per farvi fronte. L’amore ai figli deve essere incondizionato; fino agli 11 anni l’uso dello smartphone non deve essere consentito (quello di altri dispositivi solo per ragioni scolastiche) e fino ai 14 ne devono essere consentite le sole funzionalità essenziali. La famiglia deve poter tutelare fino alla maggiore età e non fino ai 14 anni, come attualmente, l’uso della tecnologia da parte dei minori, che oggi è pervasivo, deregolamentato (a livello privato, proprio perché tale, non è possibile regolamentarlo) e destrutturante. Le scuole devono uscire, sia in termini educativi che didattici, dall’impasse razionalista che impedisce agli insegnanti la lettura dei processi cognitivi e dei dinamismi emozionali in atto, soprattutto entro un contesto d’esperienza inedito sul quale è già in ampio ritardo. Questa è la cura specificamente scolastica della persona dell’alunno, solo sulla base della quale fioriscono poi tutte le performances.

Il mondo dell’informazione deve operare scelte secondo criteri etici e di salvaguardia dei minori, che da un lato non veicolino contenuti, comportamenti e linguaggi diseducativi, e dall’altro proteggano il pubblico decoro e diffondano le buone prassi in atto.

E lo Stato? Deve solo permettere al corpo civile, carico di ricchezza professionale e di volontà personale, di mettere in campo risorse già esistenti, ma latenti.

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