Anticipazioni di stampa parlano di un piano in corso di studio al ministero per tenere le scuole aperte almeno fino a fine luglio e forse anche ad agosto. Non si tratterebbe di un prolungamento dell’anno scolastico, come era sembrato in un primo tempo, perché sul calendario scolastico sono competenti le Regioni e non sarebbe facile ottenere una spontanea convergenza di scelte in merito.
Si parla invece di non meglio precisate “attività di laboratorio e socializzazione”, destinate a realizzare una sorta di ponte fra il corrente anno scolastico – che è a rischio di essere già finito – ed il prossimo, che dovrebbe essere quello del ritorno alla normalità, almeno se la promessa “immunità di gregge” sarà effettivamente raggiunta a fine estate.
Se si tratti di un brain storming, di un ballon d’essai o di qualcosa di più concreto, è presto per dirlo. Non è invece troppo presto per fare qualche riflessione sulla fattibilità e, soprattutto, sull’utilità di un tale scenario.
La prima difficoltà che viene in mente riguarda il personale – docente, ma non solo – che non potrebbe essere precettato per le attività in questione: i sindacati non lo consentirebbero ed anche i giudici del lavoro non sarebbero verosimilmente disponibili ad avallare eventuali decisioni in tal senso. Si pensa probabilmente di fare appello ad un volontariato retribuito: ma dovrebbe essere molto ben retribuito per convincere un numero significativo dei potenziali interessati a rinunciare a qualche settimana di relax dopo un anno a dir poco difficile. Oppure, forse, a convenzioni con associazioni e cooperative sociali esterne: ma in questo caso si tratterebbe di poco più che di campi estivi. E, soprattutto, l’auspicata funzione di “continuità” fra i due anni scolastici verrebbe decisamente meno, visto che gli operatori sarebbero esterni e diversi.
La seconda difficoltà riguarda le famiglie. Se l’estate consentirà il ritorno ad un minimo di vita sociale e quindi di vacanze, difficile pensare che le famiglie e gli stessi ragazzi siano disposti a privarsene per una sorta di contenimento dentro la scuola. Alla scuola i ragazzi aspirano quando non hanno alternative sociali fuori di essa: non quando sono in vacanza. Se invece, malauguratamente, l’andamento epidemiologico fosse tale da impedire le vacanze tradizionali o anche una qualche approssimazione di esse, allora il format “campo estivo” potrebbe diventare attraente per le famiglie. Obiezione: ma, se la situazione dei contagi fosse tale da impedire le vacanze, sarebbe saggio creare possibili focolai nelle scuole?
La terza difficoltà riguarda gli stessi ragazzi. Se l’alternativa fosse fra l’isolamento domiciliare e i laboratori di socializzazione scolastica, probabilmente opterebbero per i secondi: ma non certo per impegnarsi in un reale lavoro di apprendimento. Sotto questo profilo, la questione potrebbe essere diversa per le superiori, dove – se, come si dice, gli scrutini saranno “veri” e quindi anche con la possibile sospensione condizionata del giudizio – le attività estive potrebbero essere il contenitore giusto per le attività di recupero del profitto.
Questa funzione di recupero del molto tempo didattico perduto in itinere potrebbe in teoria valere anche per le scuole primarie e le secondarie di primo grado: senza dirlo ufficialmente, perché formalmente l’anno è concluso, ma si potrebbe tentare di mettere almeno qualche rattoppo. A due condizioni, naturalmente: la prima che a guidare le attività siano, almeno in misura significativa, gli stessi docenti di classe; la seconda che ad aderire fosse un numero importante di studenti. Altrimenti sarebbe impensabile svolgere attività didattiche che finirebbero con l’ampliare ancora il divario fra i “sommersi” e i “salvati”.
Insomma, uno scenario tutto da definire: nel quale, per quel che si sa fino ad ora, cioè poco, sembrerebbero prevalere per il momento gli aspetti problematici e, soprattutto, quelli dipendenti da variabili ancora non conosciute e che si definiranno solo di qui a qualche mese, essenzialmente sul fronte epidemiologico. È tuttavia un’ipotesi interessante, soprattutto se non si investirà troppo su poco realistiche aspettative in materia di recupero didattico, per tentare invece un esperimento di segno diverso.
Da qualche tempo si dibatte se la scuola non debba cambiare vocazione complessiva, per diventare il luogo dove si impara a crescere con gli altri, cioè ci si educa alla cittadinanza partecipata e consapevole e non solo all’acquisizione di conoscenze sempre a rischio di rapido oblio e comunque di obsolescenza. Allora un tempo diverso, sospeso fra due anni scolastici irrimediabilmente lontani, un tempo non giudicante, da riempire con socialità attive, che facciano riscoprire ai ragazzi il gusto di stare a scuola, non sotto pressione ma per sviluppare competenze diverse, sociali, relazionali, civiche, espressive, emozionali. Un’utopia? Forse, ma non è forse tutto utopico in questo momento? E non varrebbe la pena di fare, per una volta, una scommessa sulle potenzialità creative della scuola, anziché sulla sua dimensione unicamente organizzativa e fordista.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI