Liceo classico. Un futuro per tutti, a cura di Liana Lomiento e Antonietta Porro (Carocci, 2021), è un volumetto che prende le mosse da un assioma che ci sentiamo di sottoscrivere in pieno: il liceo classico è patrimonio comune della società italiana, come del resto i classici greci e latini appartengono a tutti e per tutti rappresentano una ricchezza, se non altro perché i segni della civiltà greca e romana plasmano il paesaggio delle nostre città, hanno lasciato un segno indelebile nell’arte e nell’architettura (e lo continuano a lasciare), hanno influenzato e influenzano ancora oggi la nostra letteratura, ma, soprattutto, hanno plasmato la nostra lingua, il nostro lessico, e hanno generato le categorie di pensiero che improntano il nostro modo di ragionare e di relazionarci fra di noi e con la realtà che ci circonda.
Sarebbe pertanto folle pensare al liceo classico solo come a una fucina di futuri filologi, archeologi, esperti di arte e letteratura greca e latina: e, del resto, l’esperienza di ogni professore del liceo classico ora e in passato lo dimostra: da una “classe terminale” (come è brutta e sinistra questa espressione burocratica) di classico non escono certo venti iscritti a corsi di laurea in lettere classiche e scienze dell’antichità, ma, per lo più, a una manciata di studenti di facoltà umanistiche fra le più varie, si affianca una grande maggioranza di ragazzi avviati a diventare medici, avvocati, psicologi, ingegneri specializzati nelle più varie e moderne declinazioni delle scienze applicate; e poi ancora farmacisti, specialisti nelle lingue moderne, architetti, farmacisti, chimici, veterinari, e così via. Questo accade perché, dopo cinque anni di vessazioni chini sul mitico Rocci, il dizionario di greco croce e delizia di intere generazioni dalla fine degli anni Trenta a oggi, e di noiosi pomeriggi trascorsi a languire su Cicerone e Seneca, i ragazzi non ne possono proprio più del greco e del latino? Forse, in qualche caso – più raro di quanto non si creda – è anche così; ma, molto più spesso, chi si diploma al liceo classico porta sempre con sé una forma di nostalgia per quegli anni pesanti, ma formativi; e non è certo per disgusto del mondo classico che si intraprendono altri percorsi di studio e professionali.
Al contrario, è esperienza comune che ogni professionista, medico, architetto, funzionario di banca, ingegnere diplomato al liceo classico conserva dentro di sé una scintilla di passione per il mondo dei Greci e dei Latini, e per quella scuola che gli ha insegnato a conoscere il nostro passato e la nostra storia, a usare con maggiore consapevolezza e ricchezza la sua lingua materna, a essere sistematico nello studio e nell’impegno più gravoso, ad argomentare con rigore, a emozionarsi per la Bellezza di una lirica di Alceo come dell’Ara Pacis, di un passo della Commedia e di un quadro di Tiziano, senza però mai dimenticare di dover contestualizzare ogni oggetto, testo, avvenimento nel suo tempo e nel suo spazio.
Le due autrici, greciste, rispettivamente, Antonietta Porro presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove è direttore del dipartimento di filologia classica, papirologia e linguistica storica, Lina Lomiento all’Università di Urbino “Carlo Bo”, e direttrice della Rivista di Cultura Classica e Medioevale, ci offrono questa riflessione, del resto, anche perché sono convinte che i loro studi, e, in generale, tutte le discipline afferenti all’antichistica, per continuare a solcare impavide i secoli come sempre hanno fatto, necessitano di un aggancio forte nella scuola, e, soprattutto, nella consapevolezza delle famiglie – ma anche dei ragazzi – circa il fatto che quella del liceo classico non è una scelta snobistica, fuori moda, fuori tempo, inadatta al nostro tempo postmoderno; e il diplomato del classico non è un nerd fuori dal mondo, ma, forse, è proprio colui che meglio fra i suoi coetanei ha – almeno in potenza – gli strumenti, culturali e personali, di conoscenze e competenze culturali e relazionali (le soft skills) per portare a termine con successo i più disparati percorsi di studio, e per poter emergere nei più vari campi del sapere e dell’attività lavorativa.
Ecco dunque spiegato il senso dell’operazione di A. Porro e L. Lomiento: intervistare venti “diplomati eccellenti” del liceo classico, i quali hanno imboccato strade diversissime dopo l’esame di maturità (che oggi si chiama esame di Stato: e io lo dico sempre, che se non si chiama più maturità un motivo ci sarà). E così possiamo sentire la voce di una scrittrice, Paola Mastrocola, alla quale il classico ha dato l’impagabile privilegio di poter “stare con le parole” per lungo tempo, per ore e ore, durante gli anni più formativi della vita, per la quale il lungo apprendistato sulla morfologia, la sintassi, l’etimologia, le figure retoriche etc., ha dato sostanza alla sua voglia di scrivere, oltre che, se non gli strumenti perfetti e politi, la chiara percezione di quali strumenti avrebbe dovuto sviluppare e affinare per poterlo fare (pp. 71-80).
Un grande esperto di malattie dell’apparato respiratorio, medico di fama internazionale, conosciutissimo nel suo campo, come il prof. Luca Richeldi, del Policlinico Gemelli di Roma, invece, guardando retrospettivamente agli anni della scuola, riconosce che il liceo classico ha lasciato un segno deciso nella sua figura professionale e nel suo modo di lavorare “creando una forma mentis orientata verso il ragionamento logico, in particolare attraverso lo studio del greco antico, che è poi il tipo di ragionamento alla base del metodo clinico” (p. 81), oltre che definendo il valore della “persona”, cardine della pratica medica. In questa raccolta di interviste troviamo la voce di sociologi (Luca Ricolfi), magistrati (come Guido Salvini, che rileva, in particolar modo, l’importanza del latino, in quanto il diritto romano è la base del nostro), ingegneri nucleari come Luigi Serio; fisici come Guido Tonelli; produttori televisivi e cinematografici come Riccardo Tozzi; filosofi come Ermanno Bencivenga; urbanisti come Stefano Boeri; anglisti come Nadia Fusini; e poi, politici, giornalisti, scienziati, e persino arcivescovi, come monsignor Mario Delpini, laureato presso l’Università Cattolica di Milano. E tutti, ci piace rilevare, non si limitano a sottolineare quanto sia importante, genericamente, lo studio della civiltà greca e latina, ma riconoscono quanto sia stata per loro determinante e formativa la pratica della traduzione dal greco e dal latino. Un patrimonio che non possiamo disperdere, ma che dobbiamo lasciare in eredità ai futuri, giovani allievi del liceo classico di domani, futuri avvocati, medici, chimici, fisici, commercialisti, informatici, ingegneri, e perché no, in qualche caso, anche antichisti, filologi e archeologi.
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