Se dovessimo condensare in un’icastica notizia giornalistica la densa presentazione del Rapporto Invalsi 2024 che si è tenuta ieri mattina presso la Camera dei deputati, si potrebbe dire che le cose vanno meglio rispetto agli anni precedenti. Il ministro Valditara ha presentato con enfasi i miglioramenti, anche se permangono alcuni forti dislivelli tra le macroaree del nostro Paese in cui si articola la rilevazione (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole).
Difficile descrivere un quadro sintetico, perché – come è stato osservato anche da Renata Maria Viganò, ordinaria di pedagogia nell’Università Cattolica e vicepresidente di Invalsi – la ricchezza dei dati è difficilmente riconducibile ad un filo unitario. Tuttavia si registrano miglioramenti in matematica, dove a livello di scuole superiori più della metà degli alunni raggiunge un livello accettabile di conoscenze (l’anno scorso si era sotto la soglia del 50%) e in inglese (con alcuni importanti progressi nell’ascolto). In italiano la situazione è più diversificata e nonostante alcuni progressi abbastanza diffusi, si constatano, rispetto alle precedenti rilevazioni, zone di stabilità, dove in sostanza poco o nulla è cambiato, e alcune aree del Centro-Nord che sono problematiche circa le competenze basilari degli alunni.
Roberto Ricci, presidente dell’Invalsi, con una lettura maggiormente analitica ha presentato il lavoro dell’istituto nel corso di quest’anno. Decisamente la mole degli intervistati è stata cospicua, quasi 2 milioni e mezzo di alunni con un coinvolgimento di circa 70mila classi. Anche dal suo punto di vista, il rapporto di quest’anno evidenzia una serie di elementi positivi che fanno aggio sui tradizionali problemi, particolarmente in merito alla dispersione implicita (cioè agli alunni che pur proseguendo gli studi non possiedono le competenze previste) e alla dispersione esplicita (quella di coloro che abbandonano la scuola).
Oltre a registrare nel 2024 una decrescita dei due tipi di dispersione, le previsioni formulate con il calcolo statistico consentono di ipotizzare trend favorevoli anche nei prossimi anni. Del resto, la cruda oggettività dei dati contenuti nei rapporti precedenti, dalla quale traspariva anche una certa soggettiva amarezza, rende affidabile la presentazione di quest’anno con i suoi elementi di positività.
Ricci, inoltre, si è concentrato sul tema dell’equità, sintetizzabile nella condizione di pari opportunità di cui dovrebbero fruire tutti gli alunni, indipendentemente dalle condizioni ascritte (quelle economiche e culturali dovute alla famiglia di provenienza). Su questo piano, egli ha fatto bene a ricordare come il nostro sistema scolastico sia ancora ben lontano dall’offrire a tutti gli alunni una tale condizione e la persistenza del divario Nord-Sud ne rappresenta la drammatica cifra.
Viganò, nelle sue riflessioni per ovvie ragioni non del tutto esaurienti ma ricche di stimoli, ha evidenziato ancora una volta l’importanza del lavoro dell’Invalsi, i cui dati orientano il lavoro di molti docenti e dirigenti. Anche se sono passati i tempi in cui alcune forze politiche avrebbero voluto abolire l’istituto e con esso le attività valutative, non tutti ancora oggi sono disposti a riconoscerne il valore. Soprattutto, considerata la complessità ermeneutica dei dati e anche la loro eterogeneità (coerente con quella delle specifiche realtà), tale valore non contrasta con la necessità di adottare orizzonti particolari e coerenti con i territori. Anche l’adozione di strategie specifiche, calibrate sulle singole diversità, si nutre proprio dei dati specifici estratti da Invalsi.
Viganò ha ragione, infine, nell’evidenziare come la necessaria personalizzazione dell’insegnamento serva anche a contrastare alcuni mali tipici della nostra scuola, quali il numero di assenze e la diffusa sensazione di noia che sperimentano molti alunni. Ciò chiama in causa la qualità degli attori scolastici (docenti, dirigenti scolastici e amministrativi) circa la quale alcuni recenti concorsi, sia per i ruoli d’insegnamento, sia per quelli riservati alla dirigenza, non testimoniano a favore. Si è trattato di scelte che difficilmente corroboreranno le aspettativa di qualità e di merito.
Il fatto che i miglioramenti evidenziati dal rapporto Invalsi si registrino dopo il varo di alcune riforme promosse dal ministro non significa asseverare un nesso di causalità. David Hume ha dimostrato come la logica del “post hoc, ergo propter hoc” non funzioni. Forse ancora è troppo presto per rivendicare i miglioramenti in questione come effetto delle riforme promosse (tutor, orientatori, investimenti PNRR, Agenda Sud, Agenda Nord, etc.). Per il momento è bene limitarsi a prendere atto di quel che di buono arriva dai dati Invalsi.
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